”Snowtown"
di: J.Kurzel
con: D.Henshall, L.Pittaway, L.Harris, A.Viergever, D.Walker
Drammatico - AUS 2011 - 120 min
Nel duttile specchio della natura,
le stelle fan da rete, noi da pesci,
i numi sono spettri in grembo al buio".
- V.Chlebnikov -
E' tutto nel cuore, quindi imponderabile. Almeno fino a quando non decide di emergere, e allora può essere qualunque cosa. Non necessariamente un inno alla vita.
L' agglomerato suburbano di North Salisbury, dalle parti di Adelaide (AUS) - ma davvero, oramai, potrebbe trattarsi di qualsiasi "luogo" - dispersione di villette dozzinali circondate da verde scorticato, cortili posteriori ingombri di attrezzi e rifiuti, ospita, ed e' come un'intemperanza del caso, una fauna che una volta, forse, aveva connotati umani. Al suo interno il giovane James, detto Jamie, si aggira silenzioso e inerte, testimone, vittima (assieme ad altri due fratelli ma poi carnefice egli stesso) di una violenza che pulsa nelle pieghe della semplice prossimità fisica, fonde in unico blocco perverso promiscuità e ferinità e trova in John - uscito dal nulla, si potrebbe dire per comodità e bisogno di esorcizzare, se non fosse che quel nulla, sempre più vasto, sempre più esigente, al punto in cui siamo, produce, fagocita ed evacua quasi tutto - l'impassibile, suadente, crudele angelo nero che gli si conficcherà dentro, gli armerà la mano e lo trascinerà nel buio.
Il motivo d'interesse di un'opera stranita e abrasiva come "Snowtown" risiede in uno sguardo impietoso eppure mai complice che avvalendosi spesso di piani medi e lunghi "intrappolati" in una inquietante fissità (i toni cromatici sono quelli del bruno sporco, dei grigi e delle tinte opache a ripetere il ritornello atono di un ottusità così generalizzata da scivolare "naturalmente" nell'abiezione), intersecati ad inquadrature ravvicinate (in particolare quelle di Jamie) intrise di semi ebetudine, resa impotente, lacrime cristallizzate nelle orbite, rende palpabile - e sconcertante - in un non semplice equilibrio tra distanza e accorta immedesimazione, la muta prepotenza di un orrore giunto ad una pressoché totale sovrapposizione con la realtà (o forse sarebbe meglio dire con ciò che resta di essa), la cui pulsione di base, tortura + dolore + sangue, e' in gran parte de-sensibilizzata in una sorta di atroce estasi minerale non estranea, da un lato, alla marginalità autistica dei "tipi umani" ricorrenti in Korine e, dall'altro, a suggestioni prossime alle vivisezioni spietate di Seidl come ai microcosmi familiari a (illusoria) tenuta stagna di Lanthimos.
Così la Morte a Snowtown prende quello che le spetta e se ne va senza voltarsi, mentre Jamie serra una porta su cui Kurzel fa calare il nero. Troppo bene infatti Lei sa che il Male e' banale perché e' ovunque, in specie proprio dietro quella porta, la', nell'angolo più desolato di ogni cuore. Porta che di questi tempi e sempre più spesso non deve fare nemmeno più la fatica di aprire: lo fa Jamie, lo facciamo noi per Lei.
[Gli eventi descritti nel film di Kurzel rimandano ai cosiddetti "Snowtown murders" consumatisi tra il 1992 e il 1999 nel territorio dell'Australia del Sud ad opera - e secondo vari gradi di colpa - di John Bunting, James Vlassakis e Robert Joe Wagner].
L' agglomerato suburbano di North Salisbury, dalle parti di Adelaide (AUS) - ma davvero, oramai, potrebbe trattarsi di qualsiasi "luogo" - dispersione di villette dozzinali circondate da verde scorticato, cortili posteriori ingombri di attrezzi e rifiuti, ospita, ed e' come un'intemperanza del caso, una fauna che una volta, forse, aveva connotati umani. Al suo interno il giovane James, detto Jamie, si aggira silenzioso e inerte, testimone, vittima (assieme ad altri due fratelli ma poi carnefice egli stesso) di una violenza che pulsa nelle pieghe della semplice prossimità fisica, fonde in unico blocco perverso promiscuità e ferinità e trova in John - uscito dal nulla, si potrebbe dire per comodità e bisogno di esorcizzare, se non fosse che quel nulla, sempre più vasto, sempre più esigente, al punto in cui siamo, produce, fagocita ed evacua quasi tutto - l'impassibile, suadente, crudele angelo nero che gli si conficcherà dentro, gli armerà la mano e lo trascinerà nel buio.
Il motivo d'interesse di un'opera stranita e abrasiva come "Snowtown" risiede in uno sguardo impietoso eppure mai complice che avvalendosi spesso di piani medi e lunghi "intrappolati" in una inquietante fissità (i toni cromatici sono quelli del bruno sporco, dei grigi e delle tinte opache a ripetere il ritornello atono di un ottusità così generalizzata da scivolare "naturalmente" nell'abiezione), intersecati ad inquadrature ravvicinate (in particolare quelle di Jamie) intrise di semi ebetudine, resa impotente, lacrime cristallizzate nelle orbite, rende palpabile - e sconcertante - in un non semplice equilibrio tra distanza e accorta immedesimazione, la muta prepotenza di un orrore giunto ad una pressoché totale sovrapposizione con la realtà (o forse sarebbe meglio dire con ciò che resta di essa), la cui pulsione di base, tortura + dolore + sangue, e' in gran parte de-sensibilizzata in una sorta di atroce estasi minerale non estranea, da un lato, alla marginalità autistica dei "tipi umani" ricorrenti in Korine e, dall'altro, a suggestioni prossime alle vivisezioni spietate di Seidl come ai microcosmi familiari a (illusoria) tenuta stagna di Lanthimos.
Così la Morte a Snowtown prende quello che le spetta e se ne va senza voltarsi, mentre Jamie serra una porta su cui Kurzel fa calare il nero. Troppo bene infatti Lei sa che il Male e' banale perché e' ovunque, in specie proprio dietro quella porta, la', nell'angolo più desolato di ogni cuore. Porta che di questi tempi e sempre più spesso non deve fare nemmeno più la fatica di aprire: lo fa Jamie, lo facciamo noi per Lei.
[Gli eventi descritti nel film di Kurzel rimandano ai cosiddetti "Snowtown murders" consumatisi tra il 1992 e il 1999 nel territorio dell'Australia del Sud ad opera - e secondo vari gradi di colpa - di John Bunting, James Vlassakis e Robert Joe Wagner].
TFK
Nessun commento:
Posta un commento