mercoledì, aprile 16, 2014

ONIRICA


di: L.Majewski

con: M.Tatarek, E.Okupska, J.Wartak, S.Budzyk, J.Jedrusik
- Pol, Ita, Sve 2014 -
Drammatico - 102 min


Il moto perpetuo del Cinema prevede ancora la possibilità di rivolgersi all'immagine - allo studio delle sue declinazioni, al suo potenziale simbolico, alla sua capacita' di mettere in moto l'immaginazione - come strumento primo dell'espressività. Almeno a giudicare da un autore, per dire, come Greenaway, da tempo tra i sostenitori di una siffatta posizione, oppure da un cineasta come Lech Majewski tra gli "sperimentatori visivi" più assidui e poliedrici (dare del regista a Majewski e' alquanto riduttivo, essendo egli pittore, poeta, video-artista, curatore di allestimenti teatrali, compositore e librettista), e se e' vero che i suoi "I colori della passione"/"The mill and the cross" (2011) e "Il giardino delle delizie"/"The garden of earthly delights" (2004) nascono alla luce di un preciso intento finalizzato a riportare - a meta' fra riproposizione in linea con la tradizione e curiosità per l'utilizzo delle nuove tecnologie - l'immagine al centro del discorso cinematografico. Tale desiderio di ricerca si protrae - e trova il suo compimento - proprio in quest'ultima opera, "Onirica", parte conclusiva di un trittico inaugurato e sviluppato attraverso i lavori in precedenza citati.

Richiamandosi all'universo lirico e visionario della Divina Commedia di Dante - lunghi brani della quale, in una selezione che spazia tra vari canti dell'Inferno e del Paradiso, sono riproposti dalla mirabile prosodia fuori campo di Massimiliano Cutrera - la vicenda si dipana intorno al corpo magro e all'espressione dolente e attonita di Adam, giovane poeta e studioso, miracolosamente scampato ad un incidente automobilistico (in cui perdono la vita l'amata - Basia - e l'amico del cuore - Kamil -) che oltre ad imprimergli una lunga cicatrice verticale sul lato sinistro del volto - al di sopra e al di sotto dell'occhio - lo "segna" a tal punto nell'animo da portarlo ad abbandonare la vita universitaria, impiegarsi svogliatamente in un supermercato e cercare sempre più spesso nel sonno - e nel sogno - la chiave d'accesso al mondo degli affetti perduti, nonché la via giusta per sottrarsi ad una realtà angosciosa e insensata.

Se la matrice pittorica delle immagini create da Majewski e' svelata dalla grande maestria con cui vengono costruite le inquadrature e vivificata da morbidi movimenti della mdp - di rara compostezza formale - capaci di "rallentare" il passo degli eventi forzando persino il quotidiano senza storia e minato dal dolore di Adam ad una tregua utile, non certo a redimerlo, quanto, forse, a renderlo tollerabile, e produce, di fatto, una felice alchimia tra il piano simbolico e i riflessi realistici della narrazione (valga da esempio la splendida sequenza - tra l'altro, di complessa ricostruzione, come ricordato con dovizia di dettagli dal regista in conferenza stampa - che ritrae, durante uno dei tanti squarci onirici a dilatare su altre direttrici il vissuto del protagonista, una coppia di buoi aggiogata dal di lui padre e guidata nel solco tracciato per arare letteralmente il pavimento del supermercato in cui Adam passa i suoi "giorni perduti": intuizione, questa, che isola, in un rigore senza fronzoli, da un lato, l'inerzia priva di variazioni di un sistema - quello del capitale, delle merci e del consumo - efficiente e pacificato solo come giustapposizione di superfici smaglianti e, dall'altro, l'istanza, possente perché irriducibile nella sua aderenza diretta alle cose - per quanto, con ogni probabilità, oramai tardiva - di recuperare un rapporto più stretto ed autentico con le radici naturali dell'esistenza), viceversa, il radicalizzarsi della cripticita' di alcune raffigurazioni allegoriche, come pure e per contrasto, l'imporsi a tratti di uno schema retorico basato sull'esplicitazione plateale degli assunti "teorici" che aleggiano intorno al film (da riflessioni sulla Morte, all'indifferenza/impotenza di Dio; da stranite frasi sentenziose a citazioni dirette di Seneca, Epitteto, Heidegger), stenta a fare amalgama, se non nei modi di una macchinosa coerenza, con la dimensione "sospesa" - assai suggestiva, invece -  della vita di un uomo alla deriva in un mondo incomprensibile e attraversato da "segni" sempre più inquietanti (il 2010, "annus horribilis" polacco, e' raccontato da Majewski con l'occhio del cronachista medievale, ovvero quello tarato su una lettura prospettica che intravede in una concatenazione di eventi luttuosi consumatasi nel presente il preludio di catastrofi su scala più ampia, tali da pregiudicare il futuro: in tal senso possono essere inquadrati e collegati fra loro, un inverno gelido e piovoso segnato da straripamenti, inondazioni, distruzione d'interi villaggi, in particolare nel Sud del paese; il non ancora del tutto chiarito disastro aereo che spazzo' via assieme al presidente Kaczynski, un'intera classe dirigente; come pure l'innalzarsi della gigantesca nube di polveri vulcaniche dall'Islanda che paralizzando gran parte del traffico sull'Europa, impedì la partecipazione alle esequie di Stato ad un gran numero di Presidenti e Capi di governo), spesso in modo tale da comprimere il fluire dell'indubbia fascinazione visiva dell'insieme entro un contesto raffinato dal punto di vista delle sollecitazioni culturali ma non per questo meno intellettualistico.

Resta comunque impressa la disperazione composta sul volto di Adam, novello "primo uomo": ribadendo, infatti, la necessita' di non abdicare alla purezza e allo slancio del sentimento come elemento distintivo dell'esperienza umana - in un mondo che appare tanto più desolato quanto più resta sordo a richiami che non siano vincolati alla prepotenza materialista - essa si pone, allo stesso tempo, da esempio di "religione" dell'esistenza e da asciutto monito valido per ognuno di noi, essere umano immerso/abbandonato nella "modernità". Perché l'"etterno dolore" e' qui, ora e siamo noi "la perduta gente".


TFK

Nessun commento: