A proposito di Davis (Inside Llewyn Davis)
di Joel Coen, Ethan Coen
con Oscar Isaac, Carey Mulligan, John Goodman
Usa, 2013
genere, drammatico
durata, 105'
Da molti anni ormai, i fratelli Coen ci hanno abituati ad un grande cinema, tratteggiato in maniera sempre personale, cinema che si autocompiace per le grottesche disgrazie dei suoi protagonisti anti-eroi. A non sfuggire dalla dinamica pessimista (questa volta in una chiave del tutto diversa) è Llewyn Davis, personaggio ispirato al cantante folk Dave Van Ronk, e la storia è ambientata negli anni immediatamente precedenti all’esplosione del fenomeno Bob Dylan.
Il film si apre proprio accennando al passaggio di testimone dal protagonista al cantante che poi avrebbe portato il folk americano che noi tutti conosciamo sul panorama mondiale. La fotografia firmata da Bruno Delbonnel si adegua già dai primi secondi allo stilema coeniano, e la colonna sonora (quasi sempre diegetica) è di altissimo livello, diventando spesso toccante e commovente, il tutto amalgamato da un ritmo fluido e piacevolissimo. E’ tutto tipico del cinema dei due fratelli, fatto di dialoghi brillanti e di situazioni e personaggi grotteschi, se non fosse che, come forse mai successo prima nella loro filmografia, si crea un’inaspettata empatia emotiva col personaggio, anche se non ci si sbilancia mai nel giustificare il suo status quo di uomo non realizzato e senza fissa dimora. In questo equilibrio perfettamente bilanciato, Llewyn si muove tra la sorella che lo giudica come un inetto, il dover farsi carico delle spese di un aborto, il produttore discografico che non crede in lui, uno sconosciuto che lo pesta senza apparente motivo e un gatto (non a caso chiamato Ulysses) che non fa altro che contribuire alla sua frustrazione, divenendo ironicamente metaforica estensione della propria natura errante e disadattata. Stupendo ed inedito l’incontro/viaggio col personaggio interpretato da uno strepitoso John Goodman, musicista jazz ormai realizzato e che lo giudica dall’alto in basso, come tutto il mondo che lo circonda.
Il fato diventa strumento narrativo ineluttabile nel nuovo capolavoro dei Coen che, con una gentilezza e una grazia inimitabile nello stile, firmano un’altra perla che va ad ornare in una nuova direzione la loro personalissima poesia del fallimento.
di Antonio Romagnoli
di Joel Coen, Ethan Coen
con Oscar Isaac, Carey Mulligan, John Goodman
Usa, 2013
genere, drammatico
durata, 105'
Da molti anni ormai, i fratelli Coen ci hanno abituati ad un grande cinema, tratteggiato in maniera sempre personale, cinema che si autocompiace per le grottesche disgrazie dei suoi protagonisti anti-eroi. A non sfuggire dalla dinamica pessimista (questa volta in una chiave del tutto diversa) è Llewyn Davis, personaggio ispirato al cantante folk Dave Van Ronk, e la storia è ambientata negli anni immediatamente precedenti all’esplosione del fenomeno Bob Dylan.
Il film si apre proprio accennando al passaggio di testimone dal protagonista al cantante che poi avrebbe portato il folk americano che noi tutti conosciamo sul panorama mondiale. La fotografia firmata da Bruno Delbonnel si adegua già dai primi secondi allo stilema coeniano, e la colonna sonora (quasi sempre diegetica) è di altissimo livello, diventando spesso toccante e commovente, il tutto amalgamato da un ritmo fluido e piacevolissimo. E’ tutto tipico del cinema dei due fratelli, fatto di dialoghi brillanti e di situazioni e personaggi grotteschi, se non fosse che, come forse mai successo prima nella loro filmografia, si crea un’inaspettata empatia emotiva col personaggio, anche se non ci si sbilancia mai nel giustificare il suo status quo di uomo non realizzato e senza fissa dimora. In questo equilibrio perfettamente bilanciato, Llewyn si muove tra la sorella che lo giudica come un inetto, il dover farsi carico delle spese di un aborto, il produttore discografico che non crede in lui, uno sconosciuto che lo pesta senza apparente motivo e un gatto (non a caso chiamato Ulysses) che non fa altro che contribuire alla sua frustrazione, divenendo ironicamente metaforica estensione della propria natura errante e disadattata. Stupendo ed inedito l’incontro/viaggio col personaggio interpretato da uno strepitoso John Goodman, musicista jazz ormai realizzato e che lo giudica dall’alto in basso, come tutto il mondo che lo circonda.
Il fato diventa strumento narrativo ineluttabile nel nuovo capolavoro dei Coen che, con una gentilezza e una grazia inimitabile nello stile, firmano un’altra perla che va ad ornare in una nuova direzione la loro personalissima poesia del fallimento.
di Antonio Romagnoli
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