L'uscita
nella sale di "Tir", il film di Roberto Fasulo vincitore con polemica
dell'ottava edizione del Festival di Roma, ripropone con forza la
questione relativa ai rapporti tra autori italiani e critici di settore.
Non erano mancati già all'indomani
della proclamazione del palmares romano giudizi sferzanti e molto
negativi da parte di
eminenti specialisti, che per l'occasione, considerando quel
verdetto, avevano parlato di abbaglio collettivo di una giuria che aveva
confuso l'importanza del tema - la drammatica scelta di un professore
che diventa camionista per poter sostenere la propria famiglia - con le
qualità drammaturgiche e di fruibilità di un'opera
che sembrava non averne. Non certo una novità vista la disparità che
solitamente contraddistingue le scelte della giurie dalle aspettative
degli addetti ai lavori, e per il precedente accaduto proprio a Roma
l'anno precendente, quando la messe di premi assegnati al fischiatissimo
"E la chiamano estate" suscitarono una
sorta di sollevamento generale, con fischi e lazzi nella sala e sulle
pagine
dei giornali. In entrambi i casi invece di applaudire i meriti dei due
registi, peraltro riconosciuti ai nostri da due colleghi stranieri di
fama consolidata come James Gray e Jeff Nichols, presidenti delle giurie
rispettivamente nel 2013 e nel 2012, si era preferito elencare le
contraddizioni ed i difetti dei loro lavori. Con risentito sdegno da
parte degli aventi causa.
Qui non è il caso di entrare nel merito di quegli apprezzamenti (di quello che pensiamo di "Tir" potete leggere nella recensione appena ripubblicata) soppesandone la giustezza e l'opportunità, ma piuttosto di evidenziare una certa malmostosità che attraversa il panorama cinematografico del nostro paese, e che forse rispecchia la perniciosa attitudine di non cogliere il momento, e riconoscere per esempio che davanti ad un'affermazione come quella di Sorrentino, anche lui oggetto in Italia di apprezzamenti poco lusinghieri per il suo "La grande bellezza", bisognerebbe mettere da parte antipatie e rese dei conti, e riconoscere che il plauso internazionale che il film sta ottendendo potrebbe fare da volano alla tanto auspicata rinascita.
Questo non significherebbe venire meno alle caratteristiche di obiettività e di analisi che sono alla base del discernimento critico, ma di applicarne l'esercizio evitando di fare da sponda alle giustificazioni dei registi, pronti ad attribuire a rassegne stampa sfavorevoli la causa delle loro disgrazie. Come abbiamo avuto modo di leggere a proposito di Alberto Fasulo che qualche giorno fa collegava la contrazione del numero di sale a disposizione del suo film con la bocciatura ricevuta da un noto opinionista. Una citazione per danni quanto meno azzardata per un'epoca che da anni ha sostituto i numi tutelari con i parvenù della rete, e dove da tempo si affermare l'autonomia del botteghino rispetto alle leggi della logica e del pensiero. Converebbe a tutti fare un passo indietro, e ricordare che il cinema può fare a meno dei singoli contendenti, ma che noi non possiamo fare a meno di lui. Questo, augurando a "Tir" di sovvertire i pronostici delle malelingue. Noi, a dispetto delle apparenze, facciamo il tifo per lui.
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