Lone Survivor
di Peter Berg
con Mark Wahlberg, Taylor Kitsch, Emile Hirsch, Ben Foster
Usa, 2013
genere, azione, drammatico, guerra
durata, 121'
Due film di guerra, due modi diversi di raccontare
il riscatto dalle umane aberrazioni. In "Monuments Men" di George
Clooney è l'arte di quadri e sculture ad ispirare ideali di una civiltà
perduta attraverso la missione del gruppo di esperti incaricato di
recuperare le opere trasfugate dai nazisti durante il periodo
dell'occupazione. In "Lone Survivor" di Peter Berg invece, sono valori
come l'amor di patria e lo spirito di fratellanza a sublimare l'inferno
in cui viene a trovarsi la pattuglia di Navy Seals abbandonata a se stessa, ed alle prese con il fuoco di fila delle milizie talebane.
Ignorando per un momento le implicazioni morali conseguenti alle scelte dei due registi, e prima di entrare nei dettagli del lungometraggio che in questa sede ci interessa, a saltare all'occhio è un paradosso tutto cinematografico, scaturito dalla visione di due film che arrivano, più o meno consapevolmente aggiungiamo noi, ad invertite il principio estetico in base al quale sono state informate. Così se "Monument Men" parte con l'intento di ricostruire il dato storico attraverso i codici di quell'intrattenimento spettacolare e poco verosimile delle grandi produzione hollywoodiana, e finisce per assorbire all'interno di una riflessione etica i voli della sua fantasia, "Lone Survivor" fa esattamente l'opposto, filmando un combact film destinato a trasformarsi con il passare dei minuti in un cruento action movie. E se nel primo caso l'inconveniente finisce per dare peso ad un film che rischia l'inconsistenza, l'incongruenza di "Lone Survivor" innesca una serie di osservazioni che riguardano la materia cinematografica, ma non solo. Ci riferiamo innanzitutto alla struttura del film, che appare blindata da un prologo ed un epilogo più significativi di quello che sembra, non soltanto perchè si tratta di inserti che seppur collegati al resto della storia appaiono a se stanti per la natura documentaria, ma soprattutto per le conseguenze di senso che riversano sul resto del film. L'apertura infatti fa da preambolo alla vetrina di virtù e codici guerreschi che seguiranno, con la selezione della tribù guerriera sintetizzata dalle immagini che certificano la cosiddetta "settimana d'inferno" in cui i candidati devono superare prove ai limiti dell'umano, e dove persino la sconfitta - enfatizzata dal rito di posare a terra l'elmetto e suonare la campana-diventa un segno di potenza e virilità. La fine invece, una sorta di album fotografico dedicato ai veri protagonisti della vicenda, riporta la storia che abbiamo appena visto ad una dimensione umana e famigliare dopo gli orrori del combattimento, con il viso felice dei soldati insieme ai propri famigliari, a ricordarci il valore del loro sacrificio.
Rispetto al generoso minutaggio, il film paradossalmente si gioca le sue carte attraverso queste due brevi appendici; dapprima fabbricando, attraverso lo spot che ci mostra le doti di resistenza al dolore ed allo sforzo fisico dei futuri soldati, una giustificazione all'incredibile, e diciamo noi, inverosimile tenacia che permette alla pattuglia di rimanere attiva nonostante le menomazioni fisiche provocate dagli attacchi nemici. Successivamente, prima dei titoli di coda, arriva a condensare il significato dell'intera vicenda nella perdita di vite umane (americane), enfatizzata dal contenuto delle fotografie, e nel valore positivo di un esempio che in quel contesto di commozione chiude la porta ad eventuali critiche e riflessioni sui motivi che l'hanno provocato.
Il risultato è ambivalente perchè se è vero che il meccanismo di genere funziona alla perfezione, assicurando al film di essere seguito con il cuore in gola e senza un attimo di tregua, dall'altra il presupposto di credibilità messo in piedi prima e sostenuto poi dallo stile realistico delle riprese, finisce per aumentare la discrepanza con lo svolgersi della vicenda, e qui ci riferiamo alla parte centrale del film in cui la rocambolesca e drammatica esfiltrazione della pattuglia sotto il fuoco del nemico e' resa con una serie di capitomboli mortali lungo una pietraia da cui però i quattro uomini pur feriti ogni volta si rialzano pronti a ripartire. Mentre sul piano ideologico, senza addentrarsi sulla questione morale che un film del genere comunque pone, non si può non notare una serie di imprecisioni che favoriscono la spettacolarizzazione del contenuto, come quella che non mette in conto la rottura di armi ed ottiche di mira al primo impatto con il terreno accidentato, e che invece continuano a funzionare con invariata efficenza anche dopo una serie di urti violentissimi; oppure la parziale mancanza del silenziatore che nel caso di una pattuglia di ricognizione combinata è previsto per fucili e pistole. Per non dire di una certa estetica della violenza che ad un certo punto prende il sopravvento con un rallentì che insiste sul corpo martoriato dai colpi di un esecuzione a sangue freddo. Particolari trascurabili in un film comunque tutt'altro che tirato via, però rilevanti ai fini della nostra analisi. Speculare nella progressione dei fatti a "Pattuglia Bravo 2.0" di Tom Clegg (1999), in cui analogamente al film di Berg il fallimento della missione dipende dalla decisione di lasciar andare i testimoni oculari incontrati per caso dalle forze speciali durante il percorso di avvicinamento all'obiettivo, "Lone Survivor" sconcerta e provoca disagio.
(pubblicata su ondacinema.it)
Ignorando per un momento le implicazioni morali conseguenti alle scelte dei due registi, e prima di entrare nei dettagli del lungometraggio che in questa sede ci interessa, a saltare all'occhio è un paradosso tutto cinematografico, scaturito dalla visione di due film che arrivano, più o meno consapevolmente aggiungiamo noi, ad invertite il principio estetico in base al quale sono state informate. Così se "Monument Men" parte con l'intento di ricostruire il dato storico attraverso i codici di quell'intrattenimento spettacolare e poco verosimile delle grandi produzione hollywoodiana, e finisce per assorbire all'interno di una riflessione etica i voli della sua fantasia, "Lone Survivor" fa esattamente l'opposto, filmando un combact film destinato a trasformarsi con il passare dei minuti in un cruento action movie. E se nel primo caso l'inconveniente finisce per dare peso ad un film che rischia l'inconsistenza, l'incongruenza di "Lone Survivor" innesca una serie di osservazioni che riguardano la materia cinematografica, ma non solo. Ci riferiamo innanzitutto alla struttura del film, che appare blindata da un prologo ed un epilogo più significativi di quello che sembra, non soltanto perchè si tratta di inserti che seppur collegati al resto della storia appaiono a se stanti per la natura documentaria, ma soprattutto per le conseguenze di senso che riversano sul resto del film. L'apertura infatti fa da preambolo alla vetrina di virtù e codici guerreschi che seguiranno, con la selezione della tribù guerriera sintetizzata dalle immagini che certificano la cosiddetta "settimana d'inferno" in cui i candidati devono superare prove ai limiti dell'umano, e dove persino la sconfitta - enfatizzata dal rito di posare a terra l'elmetto e suonare la campana-diventa un segno di potenza e virilità. La fine invece, una sorta di album fotografico dedicato ai veri protagonisti della vicenda, riporta la storia che abbiamo appena visto ad una dimensione umana e famigliare dopo gli orrori del combattimento, con il viso felice dei soldati insieme ai propri famigliari, a ricordarci il valore del loro sacrificio.
Rispetto al generoso minutaggio, il film paradossalmente si gioca le sue carte attraverso queste due brevi appendici; dapprima fabbricando, attraverso lo spot che ci mostra le doti di resistenza al dolore ed allo sforzo fisico dei futuri soldati, una giustificazione all'incredibile, e diciamo noi, inverosimile tenacia che permette alla pattuglia di rimanere attiva nonostante le menomazioni fisiche provocate dagli attacchi nemici. Successivamente, prima dei titoli di coda, arriva a condensare il significato dell'intera vicenda nella perdita di vite umane (americane), enfatizzata dal contenuto delle fotografie, e nel valore positivo di un esempio che in quel contesto di commozione chiude la porta ad eventuali critiche e riflessioni sui motivi che l'hanno provocato.
Il risultato è ambivalente perchè se è vero che il meccanismo di genere funziona alla perfezione, assicurando al film di essere seguito con il cuore in gola e senza un attimo di tregua, dall'altra il presupposto di credibilità messo in piedi prima e sostenuto poi dallo stile realistico delle riprese, finisce per aumentare la discrepanza con lo svolgersi della vicenda, e qui ci riferiamo alla parte centrale del film in cui la rocambolesca e drammatica esfiltrazione della pattuglia sotto il fuoco del nemico e' resa con una serie di capitomboli mortali lungo una pietraia da cui però i quattro uomini pur feriti ogni volta si rialzano pronti a ripartire. Mentre sul piano ideologico, senza addentrarsi sulla questione morale che un film del genere comunque pone, non si può non notare una serie di imprecisioni che favoriscono la spettacolarizzazione del contenuto, come quella che non mette in conto la rottura di armi ed ottiche di mira al primo impatto con il terreno accidentato, e che invece continuano a funzionare con invariata efficenza anche dopo una serie di urti violentissimi; oppure la parziale mancanza del silenziatore che nel caso di una pattuglia di ricognizione combinata è previsto per fucili e pistole. Per non dire di una certa estetica della violenza che ad un certo punto prende il sopravvento con un rallentì che insiste sul corpo martoriato dai colpi di un esecuzione a sangue freddo. Particolari trascurabili in un film comunque tutt'altro che tirato via, però rilevanti ai fini della nostra analisi. Speculare nella progressione dei fatti a "Pattuglia Bravo 2.0" di Tom Clegg (1999), in cui analogamente al film di Berg il fallimento della missione dipende dalla decisione di lasciar andare i testimoni oculari incontrati per caso dalle forze speciali durante il percorso di avvicinamento all'obiettivo, "Lone Survivor" sconcerta e provoca disagio.
(pubblicata su ondacinema.it)
4 commenti:
Il film in sintesi si basa sul racconto del fallimento di una missione segreta in Afghanistan di una pattuglia di Navy Seals che si trova infine a dover rispondere all’offensiva di un'imboscata e deve affrontare una lotta disperata per rimanere in vita.
A premessa non parlerei di retorica nella pellicola in quanto non mi sembra impostata su uno
“show the flag”.
I soldati qui non sembrano molto interessati nella politica dietro la guerra. Sono leali l'uno all'altro, molto competitivi ma leali.
In chiave di lettura più tecnica e quindi agli occhi di quelli del “mestiere” che guardano il film, arrivano messaggi differenti: chi conosce come avrebbe dovuto pianificare una missione di questo genere e studiare le caratteristiche del terreno e il conseguente effetto sui movimenti appiedati, probabilmente non affermerebbe che sono stati messi in risalto solo aspetti positivi come l’abnegazione e la lealtà agli ideali del proprio paese, ma anche qualche errore.
Vediamo i soldati prepararsi per la loro missione. Il loro comandante dà loro istruzioni per il comandante talebano che è stato designato come “target” e le modalità per le finestre orarie dei contatti radio. Nella parte che racconta della pianificazione, appare insufficiente la quantità e qualità delle informazioni date ai Navy Seals scaturite dallo studio della conformazione del terreno dell’area di missione, limitandosi nel dire che avrebbero trovato una non specificata pendenza del terreno e una schifosa argilla.
Il bivio del loro destino lo incontrano in questa fase della missione: vengono scoperti e visti da alcuni pastori locali. Decidono di non sparare ai pastori anche se così facendo sapevano di mettere a rischio la propria vita.
Ben presto, i seguaci dei talebani saranno in loro caccia e le loro comunicazioni radio falliscono in questo momento vitale.
Un piccolo gruppo di uomini si trova a dover resistere contro forze schiaccianti . C'è un sacco di violenza in slow motion.
Le sequenze d'azione sono brutali e molto ben coreografate . Vediamo gli uomini, disperati per rimanere in vita, gettandosi in precipizi e rimbalzando giù su scogliere rocciose per sfuggire ai talebani che li perseguono.
E’ verosimile che dopo quelle cadute rovinose, le armi e le ottiche di puntamento avrebbero dovuto riportare diversi danni. Invece hanno continuato tutte a funzionare perfettamente.
I quattro attori hanno sempre un certo umorismo , trovando sempre battute anche nei momenti più pericolosi. I soldati muoiono , gli elicotteri sono abbattuti . L' operazione sembra disastrosa, eppure lo scrittore - regista Peter Berg colpisce in qualche modo una nota trionfale.
I titoli di coda , su cui vediamo le fotografie dei veri soldati le cui storie vengono sceneggiate qui, sono in movimento. Una cosa diversa dal comune.
Un intervento preciso che rende onore al nostro impegno. Non aggiungo nulla perchè i punti di vista sono chiari
...intanto il film mi sembra che in Italia stia scivolando via abbastanza inosservato..
nickotime
Non mi stupisce il fatto che in Italia stia scivolando inosservato.
Basta vedere, giusto per fare un esempio, la differenza degli incassi del film "Captain Phillips"
tra America e Italia.
Incasso Totale Italia: € 1.554.000; Incasso Totale Usa: $ 106.860.000.
Non è da sottovalutare la differenza, tra le due nazioni, di mentalità nell' approccio alle questioni internazionali nelle aree di crisi.
in questa recensione che voglio commentare ho trovato completa attitudine all’analisi e alla descrizione di quelli che sono stati i pregi e i difetti della pellicola.
Mi pare lapalissiano escludere implicazioni morali che necessariamente si vanno ad incastonare nella dialettica recensionistica ti tali lungometraggi. Questo ovviamente è giusto farlo in considerazione di poter meglio valutare asetticamente ed obiettivamente la pellicola.
Il film si articola su una stratificazione voluta racchiusa in tre fasi. La prima descrive anche con scene real life quella che è la selezione per l’accesso al corso per operatori navy seal, e devo sottolineare che il recensionista ha ben descritto, utilizzando anche nozioni tecniche, quelli che sono i codici che in se rappresentano tale selezione.
La seconda parte descrive il “corpo” del film narrando quella che è stata la missione “rovinosa” che ha portato questa squadra di ricognizione combinata del seals ad avere gravi perdite in combattimento. Ed è proprio su questa fase che come il recensioni sta ha ben sottolineato documentando di fatto molto obiettivamente quelli che sono stati gli errori fatti al momento del ciak. Evidentemente il lungometraggio poteva riscuotere maggior plauso e migliori valutazioni se lo staff produttivo si fosse concentrato a ricercare potenziali errori che chi lavora ovviamente commette. Però su alcuni non si può fare altro che soffermarsi. Ben citati nella recensione, non vanno ad intaccare comunque il giudizio complessivo del film che si può contemplare come ben fatto nella sua totalità. Anche i numerosi effetti scena in slow motion evidenziano ed enfatizzano quello che dovrebbe essere stato il significato del film. Onorare questi operatori specializzati per quello che hanno fatto, pensando alla esclation di codici che loro utilizzano per la loro vita quotidiana: dalla lealtà al coraggio, dal cameratismo al sacrificio, dalla protezione agli interessi assoluti per la sicurezza del gruppo.
Per la conclusione il regista ritorna a proiettare immagini real life di quelli che erano i veri uomini della missione Red Wing, mostrandoli nella loro “semplicità”, sia in scatti durante il servizio, ovvero in scatti di intimità con le loro famiglie.
Dedizione al dovere ed al gruppo, certamente il film suscita riflessione, disagio e sconcerto.
In generale il film risulta sufficiente ed indubbiamente lascia seza fiato proprio in quei passaggi ove sono stati commessi quegli errori. Certamente ci si può interrogare a posteriori su cosa è giusto fare per evitare che determinate missioni possano finire in quel modo data la problematica che l’hanno spinta ad andare così. Credo però sia importante non porsi queste domande nel momento in cui si vuole commentare la pellicola; credo sia giusto porsi quelle domande esclusivamente per discuterne al di fuori della recensione per capire se fare la cosa giusta eticamente parlando, sia effettivamente fare la cosa più giusta.
Ovviamente in italia questo genere di film scivola sotto le ombre di una indifferenza sconcertante di parte, perché nel nostro Paese non esiste una “educazione” ed una “cultura” alla visione e al commento di tali film, diversamente in America questi sono utilizzati a monito per rendere onore in questo caso a ragazzi che “lavorano” per la libertà e gli interessi del loro Paese. Se pensiamo all’Italia, nella nostra grande guerra svolta ad El Alamein, dove anche i nostri “nemici” ci riservarono gli onori pur essendo stati sconfitti, il nostro mondo cinematografico è stato in grado di girare un film non per sottolineare l’eroismo dei nostri soldati ma sottolineare la povertà logistica ed altre povertà solo ed esclusivamente perché non si vuole dare merito ad azioni ed a persone che a volte magri, anche in momenti storici particolari hanno reso grande il Paese, ma spesso tendendo verso idee politiche “critiche” o “problematiche” si cade in perbenismi poco attagliati a quella che è stata la storia.
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