sabato, febbraio 27, 2016

GOOD KILL






Good Kill
di Andrew Niccol
con Ethan Hawke, January Jones, Zoe Kravitz
Usa, 2014
genere, drammatico
durata, 105'


Non è la prima volta che Andrew Niccol si occupa di guerra. La prima volta lo aveva fatto in modo indiretto, attraverso la storia del trafficante di armi Yuri Orlov, interpretato da Nicolas Cage in “The Lord of The War”. Nella seconda invece, il tema bellico ritrova gli scenari che gli sono più consoni, collocandosi dalle parti di quel conflitto afghano che, con molte polemiche, era stato il teatro d’azione del cecchino americano raccontato da Clint Eastwood in “American Sniper”. Il paragone, evidente in superficie, si lega però a significati più profondi e in particolare alla similitudine di un punto di vista che in ambedue i casi racconta non solo le pulsioni di morte e l’abbrutimento dell’essere umano ma anche la dimensione d’isolamento e il connubio uomo macchina (già esplorato da film come “Belva di guerra” e “Lebanon”) proporzionali al livello di specializzazioni delle parti in causa. Alla pari di Kris Kyle, il militare dei Navy Seals che combatte in nemico secondo procedure che lo distinguono dagli altri commilitoni, il Tom Egan di “Good Kill” - interpretato da un monolitico Ethan Hawke - non appartiene alla schiera dei top gun che abbiamo conosciuto nei film hollywoodiani. Egan è infatti è un pilota di Droni, ovvero di quei vettori comandati da terra e impiegati in zone distanti anche migliaia di chilometri rispetto al punto di controllo. Come Kris Kyle anche Egan ha una famiglia e una moglie costretta a sopportare le conseguenze di un lavoro che rende dipendenti.


Ma le differenze con il film di Eastwood si fermano qui poichè Niccol - regista che nel tempo è riuscito a conciliare la pratica dei generi con la creatività di uno sguardo fortemente personale - occupandosi di un tema che ha diviso l’opinione pubblica – per le vittime civili provocate dallo spregiudicato utilizzo dei droni - crea le premesse di un’analisi che di fatto non riesce mai a partire. Un po’ perchè Niccol inserisce la materia del suo film all’interno di una struttura fortemente schematica e risolta nella dialettica tra gli aspetti pubblici della vicenda, quelli legati allo stress di un lavoro di per sè alienate, e quelli privati, occupati dalla crisi matrimoniale che sono la diretta conseguenza dell'incarico svolto dal protagonista. Un po’ perché tale cornice fa da sfondo a un tessuto altamente convenzionale nella definizione del personaggi; con Egan, la cui alienazione è resa azzerando qualsiasi espressività e secondo una discesa agli inferi che sa di manuale; e con sua moglie Megan, ultima di una serie di bionde mozzafiato che il cinema di Niccol non ha mancato di valorizzare e che però in questo caso viene utilizzata in maniera strumentale e didascalica, rappresentando semplicemente un espediente per far sapere allo spettatore quali siano i pensieri del laconico protagonista, conosciuti dalla spettatore attraverso le risposte che il protagonista è costretto a fornire alla donna.

Scelte che spingono fuori campo le questioni legate all' impiego dei droni e alla salvaguardia dei diritti umani, sostituite da un bignami di pro e contro, in cui le rivendicazioni dei militari fascisti e guerrafondai si contrappongono equamente alla correttezza politica dei loro oppositori. E che poi, cosa più grave, lasciano spazio a un'ambiguità di fondo rimarcata dal malessere di Egan, attribuito non alla crisi di coscienza per le morti che ha provocato quanto piuttosto al non aver potuto compiere le proprie “imprese” a bordo di un normale velivolo da caccia. Una pecca di cui si deve essere accorto anche Niccol se è vero che, nel finale, il film tenta di rimediare con una sequenza di giustizia sommaria così posticcia da aumentare il senso di irrisolutezza dell’intera operazione.

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