venerdì, febbraio 05, 2016

LA QUINTA ONDA

La quinta onda
di J. Blakenson
con Chloe Moretz, Nick Robinson, Liev Schreiber
Usa, 2016
genere, fantascienza
durata, 112'


Il materiale narrativo accumulato da “La quinta onda” nel primo quarto di proiezione  basterebbe da solo a sviluppare almeno altri due lungometraggi, oltre a quello ricavato dal primo libro della trilogia scritta da Rick Yancey. Capita infatti che, nell’immaginare gli sviluppi di un’invasione aliena preannunciata dall’apparizione di una misteriosa astronave, il regista J. Blakenson  il suo sceneggiatore pensino di dare corso agli eventi attraverso una serie di sconvolgimenti climatici indotti dai visitatori allo scopo di fiaccare le resistenze della razza umana.


Ora, considerato che nella prima parte di film Blakenson preferisce lasciare spazio alla dimensione post apocalittica prodotta dalla catastrofe e allo spirito d’avventura della giovane protagonista (Chloe Moretz), impegnata a sopravvivere ai rastrellamenti del nemico, “La quinta onda” potrebbe risolversi ricalcando per filo e per segno i codici e gli stilemi del disaster movie, ipotizzando alternative futuribili e palingenesi riparatorie. Senonché, avvalendosi di una svolta narrativa sorprendente e citazionista per le analogie con un classico della fantascienza come  “L’invasione degli ultracorpi”, capita che il film un poco alla volta assuma le forme di quelle saghe cinematografiche che a partire da Twilight e Hunger Games hanno raccontato i turbamenti dell’età giovanile inquadrandoli all’interno di universi leggendari e distopici, e che pur con le limitazioni di un budget da film indipendente La quinta onda”  in qualche modo replica nella contrapposizione tra la resistenza degli umani, ancora in nuce ma ben agguerrita, e la persistenza della minaccia aliena, attuata con forme di controllo e di manipolazione degne del grande fratello orwelliano.



Pescando qua e là  dai campioni del genere e, in particolare dal film di Katerine Hardwicke  di  cui La quinta onda  sembra voler riprende, sia la tipologia del triangolo amoroso che coinvolge i giovani protagonisti, che le caratteristiche agresti e selvagge dell’ambiente che gli fanno da sfondo, il lavoro di Blakenson risente di una costruzione, a tratti un po’ meccanica e non sempre in grado di tenere insieme le sue fonti d'ispirazione. A favore del film invece, segnaliamo l'estetica da b movie che nell'artigianato della messinscena comunica autentica passione. 

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