Julieta
di Pedro Almodovar.
con Adriana Ugarte, Emma Suarez, Rossy De Palma
Spagna, 2016
genere, melò
durata, 96'
di Pedro Almodovar.
con Adriana Ugarte, Emma Suarez, Rossy De Palma
Spagna, 2016
genere, melò
durata, 96'
Film, letteratura, arte,
design, moda, musica e molto altro trova
posto nel pantheon
cinematografico di Pedro Almodovar. Ma a pensare bene se c’è una cosa che non
manca mai nei fotogrammi del regista spagnolo è proprio la vita; quella degli
altri e soprattutto la sua, riversata sullo schermo assecondando ricordi e
stati d’animo che abbiamo imparato a condividere attraverso le protagoniste
delle sue storie. E il fatto che ognuna delle sue chicas sia la rappresentazione del modo di essere
dell’autore più che il ritratto di un personaggio vero e proprio trova conferma
nella sproporzione tra la complessità emotiva di Julieta, la protagonista da
cui il film prende il nome e, per contro, la flebile consistenza del materiale
narrativo, ricavato mettendo insieme tre racconti delle scrittrice Alice Munro.
Se, infatti, nel cercare di dire la nostra a proposito di “Julieta” ci
appellassimo alla creatività dell’autore rischieremmo di rimanere delusi
perché, in questo caso, la fantasia prodotta dalle infinite variazioni di un
nucleo centrale forte e ben individuato lascia il posto a una progressione a
rebours, in cui ad andare in scena sono i
dolorosi eventi che hanno mandato in pezzi l’esistenza della donna, passati in
rassegna come lo si farebbe sfogliando le pagine di un album fotografico. Così,
se lo scopo della protagonista consiste nel riappropriarsi della parte più
dolorosa della propria esistenza, un tempo rimossa ma ora necessaria a
fronteggiare la notizia della ricomparsa della figlia Antìa, fuggita anni prima
senza lasciare traccia, quello del film è di circoscrivere un ritratto
femminile - quello di Julieta - in grado di contenere l’universo poetico ed il
sentire del regista. Che, dopo la parentesi ridanciana de “Gli amanti
passeggeri” torna alle forme del melodramma e del thriller (esistenziale) per tuffarsi in quell’introspezione,
malinconica e intimista, che in “Volver” e la “La mala educacion” era servita
per scandagliare il passato dello stesso Almodovar, presente dietro la
deformazione del racconto cinematografico.
Rispetto a questi modelli
“Julieta” aumenta lo scarto rispetto al cinema spensierato e barocco della
prima parte di carriera, quello che procedeva di pari passo con i cambiamenti
sociali e di costume della neonata democrazia spagnola. Lontano dal quel clima,
appena rintracciabile in qualche eccesso di colore scenografico (l’interno
della cabina del treno sulla quale viaggia Julieta all’inizio del film) e nell’ambiguità sessuale a cui rimanda
la mise alla Marlene Dietrich delle ragazze inquadrate di sfuggita nella scena
in cui Julieta parla con l’amica di Antìa, a rimanere intatto è il diapason che permette ad un pur esangue e monocorde Almodovar
di sincronizzarsi sulle frequenze di un universo femminile che, in assenza di
controparti, diventa qui più che altrove la misura delle cose. E dunque
dell'amore a cui nonostante il destino avverso Julieta non rinuncia, grazie a
una natura che le permette di declinarlo in tutte le forme in cui è possibile
donarlo. Il manierismo e la
sovraesposizione che ne derivano più che un difetto sono la legittima
conseguenza di tanto prodigarsi. E pazienza se “Julieta” non è all’altezza dei
film migliori del regista.
Nessun commento:
Posta un commento