Si
può ancora rimanere sorpresi dalla visione egocentrica con cui Hollywood si
misura con i problemi della contemporaneità? Conoscendo la vocazione della
parte in causa certamente no perché, oltre ai soldi, se c’è una cosa che sta a
cuore alla mecca del cinema è proprio quella di concepire i film come un mezzo
per alimentare il proprio mito, anche a costo di sacrificare la verosimiglianza
e la plausibilità delle sue storie. Eppure il potere affabulatorio e la
retorica dei buoni sentimenti che ne costituiscono l’architettura narrativa è
talvolta così persuasiva da farci abbassare la guardia rispetto alla reale
natura dei suoi prodotti che, in alcuni casi, appare sinceramente interessato
al destino delle persone comuni e più in generale alle sorti dell’intera
umanità. “Money Monster”, diretto da Jodie Foster e interpretato da due star planetarie come George Clooney e Julia Roberts
costituisce il perfetto esempio di questa mimesi cinematografica. A fare la
differenza in questo caso non è la corretta applicazione dei fondamenti del
genere thriller che la Foster, memore dei trascorsi sul set de “Il silenzio degli innocenti”, dimostra di saper
governare sia in termini di ritmo che di tensione.
Perché il rapimento della
star di uno show televisivo dedicato all’economia, tenuto in ostaggio
all’interno dello studio di registrazione dall’uomo che lo ritiene responsabili
delle sue disavventure finanziarie, si muove sullo sfondo del paesaggio che
incorniciava le vicende di ”Margin Call” e de “La grande scommessa”,
affrontando, uno dei temi più scottanti del nostro secolo. A differenza di
altre volte però, ed è questo il nocciolo della questione , le disfunzioni del
sistema e le sue ricadute all'interno della società vengono raccontate per la prima volta dal punto di vista di
chi e' escluso dalle stanze dei bottoni. E quindi non solo di quella di Kyle, il giovane disperato che vuole
denunciare pubblicamente e attraverso le telecamere del programma presentato da
Lee Gates, che più o meno direttamente lo ha indotto a sbagliare
consigliandogli di investire sul pacchetto azionario difettoso, ma anche degli
spettatori, catapultati in veste di risparmiatori in un contesto che li
riguarda da vicino.
Nella volontà di dimostrarsi sincero il film si gioca le
sue carte in termini di sceneggiatura attraverso il mea culpa di Gates, il cinico conduttore impersonato da Clooney
che, prima per paura e poi per convinzione, decide di aiutare il suo
persecutore nel tentativo di incastrare l'autore del misfatto; affidando a
Clooney e alla sua immagine d’attore socialmente
impegnato il compito di farsi testimonial del messaggio promulgato dal film. La coerenza del
percorso psicologico dei personaggi combinato al carisma di attori e regista
fanno il resto per un quadro complessivo che funzionerebbe a meraviglia se non
ci fosse da fare i conti con la decisione di inserire l’epilogo in cui
ritroviamo i personaggi di Clooney e della Roberts ancora sottosopra per la
tragica conclusione della vicenda ma comunque pronti a mettersi tutto alle
spalle e a ricominciare a lavorare come se nulla fosse successo. Pur breve, la
scena ha un peso decisivo nell’economia del film in virtù di un lieto fine che,
rispondendo unicamente alle ragione del box-office, sconfessa in un sol colpo i sentimenti di solidarietà
e di misericordia fin lì manifestati, facendo nascere il dubbio che le
invettive anti-capitalistiche e l’antagonismo a tutto campo altro non erano che
un motivo per fare spettacolo e per tacitare le ansie dello spettatore, normalmente tranquillizzato dalla
visione delle disgrazie altrui. A riguardo qualcuno potrebbe obbiettare che la
scena in questione è troppo corta (non più di qualche minuto) per congelare la
valenza delle immagini che l’hanno preceduta ma qui non si tratta di mettere in
forse l’efficienza della macchina filmica quanto piuttosto di smascherare le
ragioni di un’ urgenza più fittizia che reale, legata al contingente per
l’opportunità offerte dalla popolarità dell’argomento. Il motto è sempre
quello: The Show Must Go On. A Hollywood come nel resto del mondo.
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