The Dressmaker - il diavolo è tornato
di Jocelyn Moorhouse
con Kate Winslet, Liam Hemsworth, Hugo Weaving
Australia, 2015
genere, drammatico
durata, 118'
Redimersi
da un passato obliato, recluso nei meandri del proprio subconscio per
paura di un suo possibile ritorno. Ripercorrere i sentieri abbandonati
dopo l’infanzia per cercare di dare un senso alla propria vita,
ricostruire il proprio puzzle esistenziale e costringersi a riallacciare
i rapporti con un mondo ormai lasciato alle spalle. Tilly torna nel suo
piccolo paesino dell’Australia con un’irruenza tale da destare più di
un malumore nell’ambiente regredito e stantio, in quella comunità che
l’aveva colpevolizzata ed allontanata dai propri affetti. La sua
femminilità ne precede l’arrivo, il suo fascino travolgente spiazza chi
l’ammira. La donna distrae e arricchisce in vitalità un gruppo sociale
ormai spento, assimilato nella visione registica di Jocelyn Moorhouse ad
un anfratto nordamericano non troppo avulso dalle bistrattate lande del
vecchio west, popolato da esseri sfioranti il grottesco nel proprio
goffo tentativo di continuare ad alimentare un vigore ormai estinto.
L’abito non fa il monaco, ma l’adagio mal si applica alle curve della
Winslet che, supportate da un comparto costumi quanto mai felicemente in
essere, conducono alla perdizione momentanea un discreto numero di
compaesani, inducendo le proprie consorti a rifornirsi di abiti proprio
dall’umiliata figlia della pazza Molly. The Dressmaker è un film
cucito sulle doti corporee ed attoriali della Winslet che stupisce in
entrambi i casi, regalando una performance carica di pathos e sensualità
che ben si abbina alla prestanza di Liam Hemsworth, sfortunato
spasimante. Tilly fa ritorno in una notte del ’51, annunciandosi con
fare guerresco e mostrando sin da subito gli artigli con i quali
difenderà il proprio percorso di redenzione personale.
Ricondotta la
madre sulla retta via e riappacificatasi con essa, la donna apre il
proprio atelier nell’iniziale indifferenza della popolazione femminile
locale, collezionando piccoli indizi che la possano condurre alla
riabilitazione conoscitiva del proprio, oscuro, passato. La galleria di
personaggi che la affiancano in questa indagine è paradossale, ricca di
spunti comici tali da rendere il film una gradevolissima commedia nera,
per lo meno nella prima parte. Il tono si mantiene spensierato, tra alti
e bassi, sino a punte di humour nerissimo, per tutta la durata, virando
verso il drammatico in pochi momenti e non necessariamente cambiando
registro in modo drastico, ma scostandosi leggermente di binario e
limitando i sussulti del vagone narrativo. Tilly riveste a nuovo, sia
negli abiti che nella mentalità, un’intera generazione di bisbetiche
pettegole, tutte a loro tempo più o meno coinvolte nell’allontanamento
dell’allora bambina dal nido genitoriale per il presunto omicidio di un
suo coetaneo, raccogliendo una vendetta personale lenta ma incisiva.
Diviene parte integrante della collettività, si sostituisce alla sarta
del paese nei lavori creativi e si lascia trasportare in una storia
d’amore che la condurrà nuovamente in un baratro senza via di fuga.
Le
paure e le denigrazioni riaffiorano nuovamente nelle menti delle
clienti, i pregiudizi di allora tornano attuali e la donna vede
crollarsi addosso il mondo che con fatica aveva tentato di ricostruire. I
mattoni si sgretolano e lasciano esposto lo scheletro di un edificio
che, seppur ristrutturato di recente, ora versa in macerie similmente al
suo passato. Tilly è giunta all’apice della propria espiazione e la
fase successiva di ogni vertice è l’inesorabile declino, poiché il
destino infausto riserva sempre qualche amara sorpresa, danneggiando
irrimediabilmente i piani precedentemente organizzati. La miglior
cucitrice di abiti della provincia australiana vi saluta, bastardi.
Alessandro Sisti
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