In un paio di occasioni vi abbiamo parlato di "Su
Marte non c'è il mare", la nuova mini-serie alessandrina ad opera di Lucio
Laugelli. Pubblichiamo qui un'intervista che è il risultato di una
chiacchierata con lui e parte del suo team: il direttore della fotografia e la
scenografa.
Buona lettura!
"Su Marte non c'è il mare": un titolo molto
originale. Cosa lo ha ispirato.
Lo ha ispirato la mia autoradio: guidavo pensando agli
affari miei e ad un certo punto, in sottofondo, sento qualcuno che parla
dell’acqua su Marte (era il periodo, mesi fa), allora ho fatto una semplice
constatazione: se anche conquistassimo il pianeta rosso, un domani, non
potremmo comunque fermarci a bere una birra lungo mare. Perché su Marte non c’è
il mare. Lo so, ora sarai perplesso sul continuare o meno l’intervista (ndr.
ride).
Niente affatto. Questa risposta mi ha dato la conferma
dell'affascinante semplicità del tuo lavoro, ben costruito, nonostante non
credo disponeste dei mezzi dei grandi registi e non tutti gli attori fossero professionisti.
A questo proposito, loro come si sono preparati, e tu, quali comportamenti hai
adottato per coordinare un gruppo così variegato.
La maggior parte degli attori aveva alle spalle numerose
esperienze teatrali e/o altri corti/lavori indipendenti. Pochi erano alla
primissima esperienza. Ci siamo preparati, semplicemente, provando: ci
ritrovavamo in studio da me, sceneggiatura alla mano e via. Prove e ancora
prove. Ho coordinato il gruppo come mi capita di fare ogni volta che ho a che
fare con gruppi di persone: penso alle cose che non sopporto quando sono
dall’altra parte (e vengo, a mia volta, coordinato/diretto da qualcun altro) e
cerco, non sempre riuscendoci, di evitar tutti gli atteggiamenti che non
sopporto in un regista, in un direttore di produzione o, semplicemente, nel
“superiore” di turno.
La vostra è una mini-serie destinata al web. Qual è il
modello di riferimento.
Non avevo modelli di riferimento, a dirti la verità: ho
cercato di scrivere la storia nel modo più sincero possibile cercando di
rimanere con i piedi per terra (visti i tempi e il budget). Il soggetto scritto
con Valerio Gaglione era intrigante ma, allo stesso tempo, era anche molto
facile cadere nel già visto. Decideranno gli spettatori se ci sono riuscito o
meno ad evitare la banalità.
La trama è stata pensata da subito per essere contenuta
in questo formato? Si sarebbe potuta adattare anche a un lungometraggio
destinato al cinema o alla TV, trasmesso in una sola serata. E ancora da cosa
deriva la scelta di dividerla in quattro puntate.
Ho cercato di scrivere una sceneggiatura che potesse essere
sfruttata in più modi: sia nella forma di un lungometraggio, per i festival,
sia nella forma della mini-serie, per il web. Sapendo che la distribuzione
nelle sale, con la struttura e con i soldi a disposizione, era un miraggio, mi
sono concentrato su un prodotto audiovideo multi-piattaforma che potesse,
appunto, essere il più elastico possibile.
Quali accorgimenti hai adottato, come regista, per
costruire una trama così duttile.
Mentre giravo non ho adottato accorgimenti particolari, in
questo senso: più che altro in fase di scrittura ho cercato, come ti dicevo
prima, di pensare alla struttura in modo “jolly”: sia in blocco unico che
divisa in più venerdì.
Ho cercato di adottare una messa in scena lineare,
semplice…e ovviamente ho fatto i miei errori per colpa della troppa fretta. 52
scene in 10 giorni sono davvero troppe.
Sentiamo il parere dei tuoi collaboratori, cominciando
dalla scenografa, Francesca Grassano: volevo chiederti se ti sei trovata a tuo
agio con questo formato e se dal tuo punto di vista sarebbe stato più semplice
lavorare a un lungometraggio.
Il fatto che fosse una web serie in 4 episodi, piuttosto che
un film destinato a un'unica proiezione, non mi ha creato problemi; è stato
abbastanza semplice organizzarsi, perchè la sceneggiatura era ben definita dal
ritmo dei "venerdì" che si susseguivano.
Infine una domanda per il direttore della fotografia: come
hai affrontato il tuo compito. Ci
saranno, immagino, inquadrature studiate
appositamente per essere inserite in una mini-serie.
La suddivisione in puntate mi ha portato a creare delle
connotazioni tonali e cromatiche più marcate rispetto a un lungometraggio.
Questo perchè lo spettatore, da una puntata all'altra, può far passare anche
una settimana, ed è quindi normale che la fotografia debba "aiutarlo"
nell'associazione luoghi/persone con l'ausilio di espedienti cromatici. Così,
la casa di Marco ha sempre toni morbidi, quasi da sit-com, mentre il bar dove i
ragazzi si incontrano ed escono insieme ha delle ombre più marcate e toni molto
caldi.
Gli accorgimenti in fase di ripresa sono stati poi riportati
anche in post-produzione, per proseguire il ragionamento fatto a priori insieme
al regista.
Riccardo Supino
Nessun commento:
Posta un commento