High rise
di Ben Wheatley
con, Tom Hiddleston, Jeremy Irons, Luke Evans, Elisabeth Moss, Sienna Miller, James Purefoy.
UK, 2015
genere,
durata, 115'
Proprio intorno a questa ibridazione animale/materiale si muove, frammentato e asettico, laconico e brutale, ciclotimico e sospeso, il resoconto cinematografico di Wheatley. Abbastanza aderente all'intreccio originale che prevede come casus belli la serie d'inesplicabili avarie elettriche che un giorno via l'altro precipita il grattacielo nell'inefficienza paralizzandone le funzioni di sostentamento [e lasciando in breve campo libero al caos nella forma di un homo homini lupus versione XX secolo all'interno del quale, complice una statistica divisione per ceti che si espande man mano verso i piani alti dello stabile - nel cui attico troneggia, progettista e ispiratore di una sorta di neo-Utopia, Anthony Royal (interpretato con la solita eleganza controllata da Jeremy Irons) - i duemila inquilini, tra un party e l'altro, un'orgia e l'altra, una puntata in piscina o al fornitissimo supermercato interno, prendono prima a boicottarsi vicendevolmente, poi a riunirsi in gruppi per impadronirsi e controllare i residui sistemi funzionanti e gli approvvigionamenti divenuti presto sporadici e di fortuna, quindi a bloccare gli accessi tra i vari livelli, in modo da formare isolate enclave in cui rinchiudersi sul tipo di compartimenti tribali gestiti per mezzo di rigidi codici gerarchici e di condotta: ogni passo di questa irresistibile disgregazione segnato dal collante di episodi violenti, saccheggi, devastazioni, abusi... '... è un errore pensare che stiamo tutti spostandoci verso uno stato di felice primitivismo. Qui il modello non sembra essere il buon selvaggio, piuttosto, direi, il nostro sé post-freudiano e nient'affatto innocente, violentato da un'educazione all'evacuazione troppo indulgente, dalla devozione per il nutrimento al seno e dall'amore genitoriale... Una miscela ovviamente più pericolosa di qualsiasi cosa abbiano dovuto sopportare i nostri antenati vittoriani. I nostri vicini hanno avuto tutti un'infanzia che più felice non si poteva, ma sono comunque arrabbiati. Forse è perchè non hanno mai avuto la possibilità di diventare dei perversi...'], "High rise" è altresì attraversato da alcuni (ovvi) cambiamenti di registro [per dire, una delle figure principali, il dr. Robert Laing - un garbato ma sotto sotto ben più che inquieto Tom Hiddleston - giovane insegnate di Fisiologia alla Facoltà di Medicina, ricopre nel film un più marcato ruolo di arbiter di quanto non emerga dalle pagine; l'attribuire minore enfasi sui disservizi prodottisi nel grattacielo può alimentare in chi guarda, magari a digiuno del riferimento letterario, il sospetto circa una qual gratuità della disintegrazione lenta ma sistematica delle barriere sociali e di classe periodicamente ricondotte da Ballard, invece, entro lo stringente binomio erosione (della tenuta complessiva della struttura)/regressione (della popolazione in essa ospitata/reclusa); s’abbozza, ed è un tratteggio, l'instaurazione di un matriarcato arcaico ventilata dallo scrittore britannico come compendio e punto di congiuntura delle nevrosi, delle frustrazioni di una variegata galassia femminile - tanto più o meno privilegiata quanto insoddisfatta - qui esemplificata da una lasciva e avvilita Charlotte Melville/S.Miller; da una sprezzante e ondivaga Ann Royal/K.Hawes e da una solo in apparenza arrendevole e vittima designata Helen Wilder/E.Moss; et.] e da talune variazioni per ciò che attiene i legami che uniscono i personaggi. L'opera prova a spostarsi, così, e a cercare un proprio assetto, sullo scivoloso terreno di confine che accoglie, al tempo, il tentativo di materializzare in modo adeguato un immaginario complesso e sfaccettato, oltreché assai personale (quello di Ballard) e le necessità espressive di un Cinema (quello di Wheatley) aduso alla riproposizione quasi lineare di un realismo incline al nonsense crudele, nonché percorso da sprazzi di follia cieca - sottile ma persistente, guarnita spesso di elementi horror che quel realismo sostengono e vivificano - capaci di lacerare il tessuto molle di consuetudini e dipendenze tenuti insieme dal trito denominatore comune dell'indifferenza e della rassegnazione. Tale accidentata progressione si stabilizza a tratti, ed in genere risulta più salda e coinvolgente sul versante figurativo che non su quello drammaturgico.
In altre parole: se, come è stato da più parti sottolineato (e, magari, ai tempi del romanzo in questione, era ancora possibile illudersi riguardo esiti diversi), la lotta di classe è finita e l'ha vinta il Capitale, ecco che Wheatley affronta uno dei grumi metaforici e preveggenti della narrazione ballardiana - smarrendone, in sostanza, parte del fascino straniante e tacendo il cupo revanscismo incarnato dalla figura di Richard Wilder (restituito con indubbia energia iconoclasta da Luke Evans), autore televisivo deciso ad inerpicarsi tra rifiuti e rottami fino all'eremo del niveo Royal per un risolutivo faccia-a-faccia, diluito in un dispersivo cocktail di furore e velleitarismo - al modo di una serie di rapide e sgargianti scene inframmezzate da dialoghi via via più disincantati e sarcastici, caratterizzate da tonalità cromatiche ora sul filo di una appropriata psichedelia, ora compresse in una specie di bizzarra staticità satura (pareti, ambienti,
TFK

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