I miei giorni più belli
di Arnaud Desplechin
con Mathieu Amalric, Quentin Dolmaire, Lou Roy-Lecollinet
Francia, 2015
genere, drammatico
durata,120'
La forza di un festival si vede soprattutto dalla qualità
delle sezioni collaterali, quelle in cui gli organizzatori si lasciano andare a
scelte meno istituzionali e più libere da logiche geopolitiche. Ecco allora che
il giudizio buono ma non esaltante espresso dagli addetti ai lavori a proposito
dell'edizione del festival di Cannes appena conclusa e basato, quasi
esclusivamente sulla valutazione dei film del concorso ufficiale, è destinato a
cambiare, qualora si dovesse tenere conto di opere e autori importanti,
retrocessi con criterio imperscrutabile in posizioni di rincalzo. Un destino toccato in sorte ad affezionati
frequentatori della kermesse francese come Apichapong Weerasethakul e Brillante
Mendoza, un tempo osannati e imprescindibili e ora nascosti all'attenzione del
grande pubblico. E condivisa dal beniamino della critica locale Arnaud
Desplechin, regista francese, per la prima volta escluso dalla gara ufficiale e
inserito nella Quinzane des Realisateurs con "Trois souvenirs de ma
jeunesse", il film che ha il merito, tra le altre cose, di riportare in
vita il personaggio di Paul Dedalus, già protagonista di "Comment Je Me
Suis Disputé...(Ma Vie Sexuelle)", terzo lungometraggio del regista
francese girato nel 1996.
Avendo il passo di un romanzo esistenziale, la storia del
film è divisa in tre capitoli più un epilogo che, attraverso i ricordi
giovanili del protagonista, nel frattempo rientrato in Francia dopo un lungo
lavoro sul campo in qualità di antropologo, ricostruisce i momenti salienti di
una biografia caratterizzata dagli studi universitari e dall'impegno politico -
con il viaggio in Russia che diventa il modo per affermare attivamente la
propria militanza - ma soprattutto dall'amore per la bella Esther, destinato a
segnare nel bene e nel male l'esistenza dell'uomo che verrà.
Riassunto in questo modo "Trois souvenirs de ma
jeunesse" farebbe pensare a un Desplechin più raccolto e dalle ambizioni
meno esplicite, tenuto conto che, con la sola eccezione del
"feticcio" Mathieu Amalric, scelto per interpretare la versione
adulta di Paul Dedalus, la presenza di un cast di volti esordienti e
sconosciuti, costituisce un'eccezione nella filmografia di un autore abituato a
lavorare con il gotha attoriale del suo paese; e perché, fin dal principio, la componente
autobiografia del regista, già trapelata con diversa valenza nei lavori
precedenti, in questo caso diventa il motivo principale della storia,
raccontata a ritroso attraverso le parole del narratore onnisciente che si
inserisce sulle immagini del film per commentare le "avventure" del
"giovane Werther" francese.
Al contrario, le avventure sentimentali del protagonista e
del gruppo d'adolescenti nella Robauix degli anni ottanta - dove Dedalus e
Despleshin sono nati e da cui si sono fuggiti- diventano lo strumento per conoscere e circoscrivere le
fonti di un'ispirazione che, nel caso del regista, procede in perfetta mimesi
con una finzione filmica, utilizzata sia come espediente di intrattenimento -
modellato su una struttura narrativa da racconto di formazione - sia, nei suoi
passaggi più letterari, - imbevuti di una prosa romantica e poetica -, come
legittimazione di un arte che è innanzitutto il mezzo per mettere in scena la
protesta nei confronti delle promesse mancate: imputate innanzitutto alla
famiglia (tradita dalla morte della madre e dominata da un padre lontano e
violento) incapace di fare da riparo ai rovesci della vita e poi all'amore, con
la figura dell'amata Esther, modello di femminilità che non sarebbe dispiaciuta
al cuore di regista come Francois Truffaut, a rappresentare quella "grande
bellezza" da cui discendendo la maggior parte dei rimpianti.
Piuttosto a confondere il giudizio su "Trois souvenirs
de ma jeunesse" potrebbero essere le caratteristiche di una forma che
appare più compatta e meno disposta a dare spazio alla nevrosi, pur presente
nell'inquietudine di Esther e Paul ma "contenuta" all'interno di un
dispositivo che replica in modo evidente gli stilemi di quella Nouvelle Vague,
della quale il cinema di Desplechin è certamente debitore. E ancora la mancata
distribuzione italiana delle prime opere del regista, che impedisce di
riconoscere, tra le pieghe degli avvenimenti raccontati, le rimembranze di
situazioni che ricordano opere di culto come "La Sentinelle" e
appunto "Comment Je Me Suis Desputé...(Ma Vie Sexuelle)", richiamati
per esempio nell'atmosfera cospirativa della scena in cui Dedalus, al suo
ritorno in patria, viene fermato e interrogato dalla polizia che lo sospetta di
essere una spia del governo Russo, e, più in generale, dalla dimensione di
spaesamento, che qui come allora sembra in parte discendere dal tramonto delle
utopie politiche, qui come allora, rappresentate dagli inserti che documentano
la caduta del muro di Berlino, spartiacque di una generazione a cui il regista
appartiene e che si è assunta il compito di testimoniare la crisi che ne è
seguita. Meritevole di ben altra attenzione rispetto a quella ricevuta dal
festival, "Trois souvenirs de ma jeunesse" è, per chi scrive, uno dei
film migliori del regista francese; a testimonianza di un talento che è ancora
lungi dall'aver esaurito le sue risorse.
(pubblicata su ondacinema.it)
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