Warcraft
di Duncan Jones
con Ben Forster, Paula Patton, Travis Fimmel
USA, 2016
genere, fantasy
durata, 123'
Tra le molte
suggestioni messe in circolo dall'uscita di “Warcraft” ce n’erano due che
risultavano più urgenti di altre. La prima, relativa al soggetto del film che
come sappiamo è tratto dai personaggi di un famoso videogame, scaturiva dalla curiosità da parte di
milioni di adepti di capire se la trasposizione cinematografica realizzata da
Duncan Jones fosse stata in grado di cogliere lo spirito della materia che
l’aveva ispirata. La seconda
invece, riguardava proprio il regista del film che, già in odore di culto per due
lungometraggi (“Moon” e “Source Code”) di fantascienza realizzati con mezzi da
cinema indipendente e comunque capaci di piazzarsi ai vertici delle classifiche
stilate dagli appassionati del genere in questione, era chiamato a una
confermare la propria fama dimostrandosi in grado di controllare la gigantesca
macchina produttiva messa in piedi dalla Universal Pictures (centocinquanta milioni di dollari di costo
a fronte dei 5 e dei 30 spesi
dal regista per realizzare i film precedenti) assumendosi i rischi connessi con
una tipologia di format
– espressione del connubio tra cinema e video giochi - che spesso e volentieri si è rivelato
(“Max Payne” e “Prince of Persia”
) incapace di conquistare i favori del box-office.
Detto che anche per
“Warcraft” valgono le stesse considerazioni espresse in sede di giudizio per
altri blockbuster, e cioè
che la mancanza dei dati relativi alla tenuta commerciale del film - gli unici
in grado di giustificarne l’onerosità degli investimenti - impediscono di
formularne una valutazione certa e definitiva, dobbiamo dire che per quanto ci
riguarda Duncan Jones si dimostra all’altezza della situazione. In primo luogo
perché, pur lavorando su un materiale già codificato, “Warcraft” riesce ad
emanciparsi dalla sua fonte presentandosi con le forme di un cinema tecnologico
e spettacolare che si serve della sua magnificenza visiva e delle migliori possibilità
della computer grahics
per supplire alla mancanza di interattività tipica del prodotto da cui
prende origine. E ancora più importante perché, alle prese con un genere – il fantasy
– oramai inflazionato sia in termini di
fantasia (“Il signore degli anelli” e “Avatar” sono ampiamente citati)
che di
meraviglia, Jones punta sull’empatia del fattore umano, riconducibile in
parte alla scelta di facce e di corpi quasi del tutto inediti su questo
tipo di
palcoscenici. Sarà forse per questo che nella strenua lotta tra il bene e
il
male, e quindi, tra gli abitanti del regno di Azaroth e l’orda di Orchi
intenzionata a conquistarlo, a rimanere nella memoria sono più le
inadeguatezze dei
vari protagonisti – resa con efficacia da attori scelti per
l’adattabilità al
ruolo e non per il divismo - che il loro straordinario coraggio. Con i personaggi di Garona (Paula Patton) e di Lothar (Travis Fimmel) destinati a mettere d'accordo l'intero spettro del pubblico pagante.
Nessun commento:
Posta un commento