Pelè
di Jeff e Michael Zimbalist
con Diego Boneta, Rodrigo Santoro, Vincent D'Onofrio
USA, 2016
genere, biopic
durata, 107'
di Jeff e Michael Zimbalist
con Diego Boneta, Rodrigo Santoro, Vincent D'Onofrio
USA, 2016
genere, biopic
durata, 107'
Quante
volte vi sarà capitato di leggere un articolo in cui il giornalista di turno si
cimentava nell’impresa di redigere la classifica all time relativa ai protagonisti della storia,
dello sport e così via. Ebbene, se c’e ne fosse una che prendesse in
considerazione il calciatore più omaggiato dalla cinematografia non c’è dubbio
che il nocciolo della questione si ridurrebbe al confronto tra due soli
contendenti: Edson Arantes do Nascimento, detto Pelè, vincitore di quattro campionati mondiali e
detentore del record di
gol segnati in gare ufficiali e Diego
Armando Maradona, meno decorato del rivale ma segnato da un maledettismo che sembra fatta apposta per
esaltare l’essenza del suo straordinario talento. Almeno sullo schermo per
essere all’altezza del ruolo mancava nel ruolino del campione brasiliano
un’opera che, come già successo a Maradona con “La mano di Dio” di Marco Risi,
fosse in grado di celebrarne le gesta. A colmare la lacuna è da poco uscito
nelle sale italiane “Pelè” di Jeff e Michael Zimbalist, lungometraggio di
finzione incentrato sugli anni che vedono il calciatore mettersi in luce nei
tornei rionali giocati sottocasa fino ad arrivare alle platee internazionali con la vittoria del
campionato del mondo del 1958 in cui il calciatore insieme al resto dei
compagni riuscì a sovvertire i favori del pronostico sconfiggendo al termine di un’epica sfida i padroni di casa
della Svezia.
Prodotto
da un esperto di biopic come Brian Grazer (“A Beautiful Mind” e “Cinderella Man”) “Pelè” seppur con una
produzione da film indipendente - visibile soprattutto nella mancanza di star di richiamo e in una ricostruzione d’epoca
ridotta al minimo – ricalca le caratteristiche tipiche dei lavori del suo
mecenate, avendo cura di salvaguardare nella narrazione dei fatti gli aspetti
più edificanti della vicenda umana e sportiva del protagonista, quelli che ne mettono in evidenza non solo il
genio calcistico ma soprattutto le virtù che consentono al protagonista di far
fronte agli svantaggi derivati dalla precarietà della propria condizione
sociale. Senza mettere in discussione la veridicità degli episodi selezionati
dal resoconto in questione, vale la pena far notare che l’eccessiva
accondiscendenza verso modelli di riferimento quali appunto il genere
biografico e il romanzo di formazione da il largo a una trasposizione tanto esemplare
quanto scontata nell’idealizzazione della materia
presa in esame. In questo modo la bellezza delle sequenze relative alle partite
di calcio, riprese con uno stile vintage che fa il verso alle immagini d’epoca diffuse dalla
televisione, deve fare i conti con l’aneddotica sul colore della pelle, sulla
lotta di classe tra ricchi e poveri e sul rapporto tra istinto (di Pelè che
gioca il cosiddetto calcio di strada) e ragione ( dell’allenatore che lo
vorrebbe pratico e metodico) in cui
l’approfondimento cede progressivamente il passo ad un reportage ben confezionato ma innocuo.
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