martedì, giugno 07, 2016

PELE'

Pelè
di Jeff e Michael Zimbalist
con Diego Boneta, Rodrigo Santoro, Vincent D'Onofrio
USA, 2016
genere, biopic
durata, 107'


Quante volte vi sarà capitato di leggere un articolo in cui il giornalista di turno si cimentava nell’impresa di redigere la classifica all time relativa ai protagonisti della storia, dello sport e così via. Ebbene, se c’e ne fosse una che prendesse in considerazione il calciatore più omaggiato dalla cinematografia non c’è dubbio che il nocciolo della questione si ridurrebbe al confronto tra due soli contendenti: Edson Arantes do Nascimento, detto Pelè, vincitore di quattro campionati mondiali e detentore del record di gol segnati in gare ufficiali e Diego Armando Maradona, meno decorato del rivale ma  segnato da un maledettismo che sembra fatta apposta per esaltare l’essenza del suo straordinario talento. Almeno sullo schermo per essere all’altezza del ruolo mancava nel ruolino del campione brasiliano un’opera che, come già successo a Maradona con “La mano di Dio” di Marco Risi, fosse in grado di celebrarne le gesta. A colmare la lacuna è da poco uscito nelle sale italiane “Pelè” di Jeff e Michael Zimbalist, lungometraggio di finzione incentrato sugli anni che vedono il calciatore mettersi in luce nei tornei rionali giocati sottocasa fino ad arrivare alle platee  internazionali con la vittoria del campionato del mondo del 1958 in cui il calciatore insieme al resto dei compagni riuscì a sovvertire i favori del pronostico  sconfiggendo al termine di un’epica sfida i padroni di casa della Svezia.



Prodotto da un esperto di biopic come Brian Grazer (“A Beautiful Mind” e “Cinderella Man”) “Pelè” seppur con una produzione da film indipendente - visibile soprattutto nella mancanza di star di richiamo e in una ricostruzione d’epoca ridotta al minimo – ricalca le caratteristiche tipiche dei lavori del suo mecenate, avendo cura di salvaguardare nella narrazione dei fatti gli aspetti più edificanti della vicenda umana e sportiva del  protagonista, quelli che ne mettono in evidenza non solo il genio calcistico ma soprattutto le virtù che consentono al protagonista di far fronte agli svantaggi derivati dalla precarietà della propria condizione sociale. Senza mettere in discussione la veridicità degli episodi selezionati dal resoconto in questione, vale la pena far notare che l’eccessiva accondiscendenza verso modelli di riferimento quali appunto il genere biografico e il romanzo di formazione da il largo a una trasposizione tanto esemplare quanto scontata nell’idealizzazione della materia presa in esame. In questo modo la bellezza delle sequenze relative alle partite di calcio, riprese con uno stile vintage che fa il verso alle immagini d’epoca diffuse dalla televisione, deve fare i conti con l’aneddotica sul colore della pelle, sulla lotta di classe tra ricchi e poveri e sul rapporto tra istinto (di Pelè che gioca il cosiddetto calcio di strada) e ragione ( dell’allenatore che lo vorrebbe pratico e metodico) in cui  l’approfondimento cede progressivamente il passo ad un reportage ben confezionato ma innocuo.

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