Salvo di Fabio Grassadonia, Vincenzo Piazza
con Sara Baiocco, Giuditta Perriera, Luigi Lo Cascio, Saleh Bakri
Italia 2013
genere, drammatico
durata,104'
L'inizio è qualcosa che non t'aspetti. Davanti a noi un killer
fa strage di uomini con assoluta freddezza e feroce determinazione.
Alcuni sono vittime inconsapevoli di un piano stabilito, altre la
sfortunata conseguenza del tentativo di impedirlo. Tutto avviene in
maniera repentina, inseguimenti, sparatorie, uccisioni a sangue freddo.
Da togliere il fiato ma senza levare gli occhi dallo schermo. E sono
proprio gli occhi dell'uomo che sta compiendo la sua missione, e
successivamente quelli della ragazza che incontrerà nel corso
dell'azione, a costituire il segno dominante di questa prima, lunga
sequenza. Perchè "Salvo" il film d'esordio di Fabio Grassadonia ed
Antonio Piazza collegandosi ad una resa dei conti di stampo mafioso, con
il protagonista a funzionare come arma contundente utilizzata dal boss
del quartiere per leggittimare il suo potere, è certamente un film di
genere, soprattutto nell'estetica di una violenza tutta giocata sul
ritmo, la tensione ed anche una buona dose di spettacolarità. Ma in
questo caso tutto questo non basta ad esaurire i significati di
quell'inizio che getta le basi di un anomalia che rende "Salvo" diverso
dagli omologhi film a sfondo mafioso. Esiste infatti un'altro piano di
lettura che si innesta nella storia senza distrarla dall'obiettivo di
raccontare la dimensione di un mondo atavico ed ancestrale, regolato da
formule e strutture arcaiche, continuamente ribadite dalla presenza
della gerarchia mafiosa, ed è il sottotraccia che coincide con lo
sguardo di Salvo e Rita. Lui ha una vista da sparviero, lei è cieca. Lui
si affida a quella per tenere sotto controllo gli uomini, lei forse
l'adopera per proteggersi da loro. Durante la convulsa azione che apre
il film la telecamera di Piazza e Grassadonia intercetta quello di Salvo
ad intermittenza, ma in modo costante, come a stabilire un legame
inscindibile tra la capacità di vedere e la superiorità sugli avversari.
Poi in maniera paradossale tutto viene rovesciato, con Rita e la sua
condizione di non vedente a scrivere le regole. Ancora una volta è la
vista, seppur nella sua mancanza, a farla da padrone. Un primato
stabilito dalle immagini prima ancora che dalla storia, con le morti
sparate in "primo piano" quando la vicenda è collocata nella terra di
nessuno di un paesaggio siciliano modello far west di cui Salvo, angelo
sterminatore al soldo di Satana è il protagonista assoluto, e
successivamente rese invisibili e lasciate "fuori campo", quando Rita
entra in scena portando con se l'impossibilità tutta fisica di osservare
quanto accade.
Piazza e Grassadonia inquadrano l'intrusione di
Salvo nello spazio esistenziale di Rita su più livelli: quello
esclusivamente narrativo che porterà all'incontro/scontro tra due realtà
antitetiche, eppure destinate a compenetrarsi fino al punto di
scambiarsi i ruoli, con Salvo a farsi carico del dolore e della
sofferenza di Rita, dapprima liberata dal giogo della malattia, e poi,
con un drammatico escalation, sottratta alla condanna
inflittale da chi vorrebbe farle pagare il tradimento del fratello che
Salvo ha ucciso di fronte a lei dopo essere entrato furtivamente nella
loro casa. Quello metacinematografico, con Salvo, occhio che guarda
senza essere visto - in un primo momento vediamo Salvo non rivelarsi a
Rita ma seguirla silente nei suoi spostamenti nei vari ambienti della
casa- ad impersonare il progressivo scivolamento dello spettatore
all'interno della storia e della cornice filmica, coinvolto in prima
persona con i fatti ed i personaggi attraverso un transfert che il film
fa coincide con l'empatia di Salvo, talmente immedesimato dalla visione
di quella sfortunata ragazza da risparmiarle la vita, mettendola al
sicuro da chi la vuole morta.
E ancora mentre "Salvo" da una
parte racconterà gli sviluppi di questa scelta, con il boss che ad un
certo punto scoprirà il segreto ed intimerà al killer di completare il
lavoro con l'uccisione della ragazza, il film di Piazza e Grassadonia
continua il suo detour mettendo in scena il miracolo della guarigione di
Rita ad opera di Salvo, a quel punto chiamato dalla storia ad un
cammino di sacrificio e di martirio che sull'esempio del Cristo percorre
le tappe di un calvario rappresentato con immagini che prendono in
prestito l'iconografia sacra; valga per tutti quella che ritrae il corpo
del protagonista adagiato su un divano con il braccio allungato e
pendente alla maniera della pietà michelangiolesca, oppure ripercorrendo
con progressione paradigmatica i passaggi più importanti, l'imposizione
delle mani che fa tornare la vista alla ragazza, e poi cena condivisa e
consumata dai due fuggiaschi mentre fuori ad aspettarli ci sono gli
sgherri, e con loro la prospettiva di un convito che alla pari di quello
pasquale potrebbe essere anche l'ultimo.
Grassadonia e Piazza
con l'aiuto di un grande Daniele Ciprì, autore di una fotografia
contrastata e densa di richiami, cinematografici e non - il western
soprattutto, ma anche pittorici e caravaggeschi, per la qualità della
luce che illumina i corpi, e quello di Salvo in particolare, in maniera
estetizzante e sensuale - lavorano sulle forme del genere, qui
utilizzate per mettere in risalto le contraddizioni delle proprie radici
culturali. In questo modo la predominanza maschile messa in mostra dal
film attraverso le imprese di Salvo e dei suoi compagni ha come
contraltare il sodalizio matrimoniale che si prende cura di Salvo, e
che, nella schiacciante supremazia della moglie/madre nei confronti del
consorte/figlio (Luigi Lo Cascio), ma anche nella fascinazione di
quest'ultimo nei riguardi di Salvo, sembra quasi volerci dire che la
violenza maschile altro non è che la frustrazione per l'onnipotenza
dell'essenza femminile. Ragguardevole ed inusuale per il nostro cinema è
anche l'utilizzo del paesaggio e degli ambienti, ripresi soprattutto in
interni e concentrati nello spazio chiuso di un edificio industriale
abbandonato (come peraltro accadeva ne "L'intervallo" dell'esordiente Di
Costanzo). Lungi dall'essere semplice accessorio, lo sfondo in cui si
muovono i personaggi diventa parte integrante di una dialettica capace
di approfondire i vari passaggi della storia: basti pensare
all'inquadratura finale, con la linea del mare inquadrata a stento dalla
telecamera posizionata dietro ai due protagonisti, seduti in attesa di
fronte a quella vista. Il panorama spezzato ed in parte coperto dalle
linee dei muri si sostituisce ai volti di Salvo e Rita, diventando
l'espressione della precarietà di quellunione. E se anche "Salvo" nella
seconda parte non è in grado di tenere testa alla potenza della sequenze
d'apertura, il risultato finale è comunque positivo e da annettere a
quel tipo di esordi che lasciano intravedere un futuro fatto di buon
cinema . "Salvo" ha vinto la Semaine de la Critique all'ultima edizione
del festival di Cannes. Unico film italiano quest'anno a portarsi via un
premio dalla prestigiosa rassegna.
(pubblicata su ondacinema.it)
Nessun commento:
Posta un commento