Spiderman: homecoming
di Jon Watts
con Tom Holland, Marisa Tomei, Zendaya Coleman
USA, 2017
genere, fantastico
durata: 133’
Peter Parker non riesce a scrollarsi di dosso la forte emozione provata nella sua esperienza
con gli Avengers in Captain America: Civil War, l'aver conosciuto Tony Stark e avere
mantenuto con lui un rapporto speciale, tanto da avere un contatto diretto attraverso il suo
assistente Happy Hogan e da aver ricevuto in dono un super-costume. Peter è così
innamorato dell'idea di diventare un Avenger da lasciar scivolare in secondo piano anche la
ragazza che gli fa battere il cuore, la bella Liz, per andare dietro ai criminali e mostrarsi pronto
per la posizione in squadra. Le cose però non vanno come previsto, perché il suo avversario,
l'Avvoltoio, una squadra ce l'ha e opera in modo organizzato e all'occorrenza spietato,
motivato dalla rabbia per un grande e onesto affare che proprio gli Avengers gli hanno
"sottratto".
L'entusiasmo di Peter Parker per il suo ruolo da Spider-Man è contagioso grazie al trasporto
di Tom Holland e al contrasto tra la sua vita in costume e la routine scolastica, ma la smania
di crescere porta spesso a commettere degli errori.
Una morale semplice, che ha il pregio di riportare con i piedi per terra il Marvel Cinematic
Universe dove tra dei, re, androidi e avventurieri dello spazio si scivola di film in film nel più
puro escapismo.
Jon Watts, regista e sceneggiatore, guarda dichiaratamente alle commedie liceali anni 80 di
John Hughes: l'Homecoming è infatti una festa americana che, nella sua declinazione
scolastica, celebra il ritorno, per esempio, da una trasferta sportiva. In questo caso si tratta di
un decathlon culturale, cui partecipa una squadra della scuola di Peter, che dal Queens
viaggia fino a Washington.
Al calendario scolastico, con feste, lezioni e gite, si alternano e a
volte si sovrappongono le sue avventure da Spider-Man, che prendono una piega pericolosa
quando il giovane eroe si imbatte in alcuni ladri dotati di tecnologia aliena. Cercando di risalire
alla fonte e fermare il problema finisce dritto tra gli artigli dell'Avvoltoio, interpretato da Michael
Keaton. Un cattivo tra i più riusciti visti finora nei film Marvel, anche se non arriva alla
grandezza del Dr. Octopus di Spider-Man 2, perché la trama deve coprire troppe situazioni e
scene d'azione e non gli dà modo di essere approfondito a dovere. Ciò nonostante è facile
simpatizzare con le ragioni per cui si è dato al crimine e lo stesso vale per i suoi aiutanti, solo
abbozzati nella personalità ma che si sono trovati ingiustamente disoccupati da un giorno
all'altro.
Watts ha fatto l'impossibile per mettere Spider-Man in situazioni in cui non l'abbiamo mai
visto, evitando categoricamente i grattacieli di Manhattan e facendolo correre tra i parchi e le
villette dei sobborghi, oppure costringendolo a scalare una struttura solitaria come l'obelisco
di Washington, o ancora facendolo combattere su un grande traghetto in mezzo al mare o
addirittura ad alta quota, su un aereo.
Soprattutto però “Spider-Man: Homecoming”, come
tipico dei titoli Marvel-Disney, è un film di scrittura, che all'azione fonde, e spesso preferisce,
la commedia: anche qui Watts fa un ottimo lavoro sui tempi comici e la direzione dei giovani
attori. Oltre a Tom Holland, abbiamo Jacob Batalon nei panni di Ned, l'amico nerd, Laura
Harrier in quelli di Liz e Zendaya nelle vesti trasandate dell'eccentrica e intelligente Michelle,
che ha alcune delle battute più divertenti. Ovviamente poi Robert Downey Jr. è assoluto
mattatore, con l'istrionismo e l'energia che hanno fatto di Tony Stark uno dei personaggi
cinematografici più amati dell'ultimo decennio. Un po' sacrificata, invece, Marisa Tomei nei
panni di Zia May, ma il finale promette di darle un ruolo più attivo nei prossimi film.
Tutto questo fa di “Spider-Man: Homecoming” un film indubbiamente riuscito, divertente e
capace di dare un senso al terzo rilancio del personaggio, in cui l'unica nota che lascia un
retrogusto spiacevole è il legame con il resto del Marvel Universe. Per quanto sia bene
integrata, la fascinazione per gli Avengers finisce per sembrare una sorta di spot per gli altri
film Marvel. Inoltre, dare a Spider-Man un costume con tanto di intelligenza artificiale e infiniti
gadget è, da un canto, un modo per rinfrescare il personaggio, dall'altro, però, porta via
tempo prezioso, che avrebbe potuto valorizzare il cuore umano della vicenda.
Il finale evita uno dei difetti di molti Marvel movies e la scena dopo i titoli di coda, sulla musica
dei Ramones, gioca di autoironia, strappando un'ultima risata prima che si accendano le luci.
Riccardo Supino
Nessun commento:
Posta un commento