Aspettando il re
di Tom Tykwer
con Tom Hanks, Sarita Choudhury, Alexander Black
USA, 2016
genere, drammatico
durata, 97'
di Tom Tykwer
con Tom Hanks, Sarita Choudhury, Alexander Black
USA, 2016
genere, drammatico
durata, 97'
Clay è un uomo d'affari americano, la cui vita è andata a rotoli: ha perso la casa, il matrimonio, la
stima del padre, non sa come pagare gli studi della figlia ed è afflitto dai sensi di colpa per aver
chiuso uno stabilimento americano in favore di una delocalizzazione in Cina, che alla lunga non ha
nemmeno ripagato. Ora cerca di rifarsi vendendo un sistema di teleconferenza via ologramma al
Re dell'Arabia Saudita, nella città di Kmet: si tratta, in realtà, solo di un progetto e di fatto consiste
in una palazzina di uffici in mezzo al deserto. Inoltre ha una preoccupante ciste sulla schiena, che
potrebbe anche essere un linfoma, e durante le cure conosce una locale dottoressa che, insieme
al suo autista, lo aiuta a ritrovare un po' di fiducia in se stesso e gioia di vivere.
Tratto dal romanzo di Dave Eggers "Ologramma per il Re", quello di Tom Tykwer è un adattamento
di lusso, con Tom Hanks al centro di una crisi personale che è emblematica di quella del sogno
americano e del ruolo della superpotenza ai tempi della globalizzazione.
Se il tono surreale è efficace, non lo sono però i momenti più hollywoodiani, a partire dalla storia
d'amore che risulta consolatoria e tutt'altro che approfondita, scadendo nei consueti cliché
dell'esotismo.
Non contribuisce all'autenticità il fatto che i due principali personaggi arabi siano interpretati da
un'inglese di discendenza indiana e da un americano di discendenza egiziana, mentre si può
giustificare che le riprese siano state effettuate in Marocco, visto che né l'Arabia Saudita né i vicini
Emirati Arabi hanno accettato. Proprio questo, però, è un dato tutt'altro che peregrino,
emblematico di un marcato gap culturale, che il film risolve invece con eccessiva facilità.
Se Tom Hanks fa il possibile per incarnare l'americano medio e in fondo di buon cuore, tipico per
altro della sua carriera, il mondo che ha intorno sembra fin troppo ben disposto nei suoi confronti.
Certo c'è qualche inghippo burocratico, ma basta la sua buona educazione per avere la meglio più
o meno su tutto, tanto che si invaghiscono di lui prima una bella danese (interpretata da Sidse
Babett Knudsen) e poi la dottoressa araba, con la quale intreccia una relazione così improbabile
da far a tratti sospettare che sia frutto di allucinazioni.
Per fortuna il romanzo di Eggers non manca di fornire qualche buona staffilata, come la telefonata
al padre e un finale in parte beffardo, ma nel complesso il racconto della globalizzazione come crisi
esistenziale e politica finisce sacrificato alla tipica storia dell'anglosassone di una certa età che si
rigenera nel Paese esotico, come una volta succedeva agli inglesi in vacanza in Italia.
Uno
schema logoro e un po' stucchevole, che comunque non vanifica tutto: funzionano le diverse
situazioni da teatro dell'assurdo, con attese che potrebbero durare per sempre, e soprattutto lo
scenario della città che non c'è in mezzo al deserto ha la sua efficacia cinematografica. Per altro
esiste veramente, anche se in realtà si chiama King Abdullah Economic City, e si è davvero
sviluppata negli ultimi anni.
Lascia, infine, l'amaro in bocca il ritratto politico dell'Arabia Saudita: le pochissime critiche arrivano
solo da qualche battuta dell'autista. Eggers diceva di non aver scritto il romanzo da un punto di
vista giornalistico e di essersi calato nella prospettiva di un protagonista che è lì per affari, inoltre
spiegava in varie interviste che la città in costruzione era in un certo senso un'oasi liberale rispetto
al resto del Paese. D'altra parte, però, se la letteratura è ricca di testi in materia di Medio Oriente, il
cinema, e tantomeno quello americano, non si avventura che molto raramente in Arabia Saudita.
Dunque rimane il rammarico per l'occasione sprecata da Tykwer, che ha ulteriormente alleggerito i
toni rispetto al libro.
Riccardo Supino
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