lunedì, agosto 11, 2008

Riprendimi

L’incipit iniziale suona quasi come un presagio durante la fruizione del film: d’apprima non ci si bada, cercando di interessarsi alla sua storia, cosa difficilissima per tutti coloro che ogni settimana si dedicano, con volontà autopunitiva alla visione del cinema italiano contemporaneo, caratterizzato come non mai da un overdose nevrotica e sentimentale che alterna in maniera schizzofrenica scenari da romanzo rosa ad impaludamenti pseudo bergmaniani, poi, colti da una noia che si mischia allo stupore per l’insulso sviluppo degli eventi, quella frase sembra l’unica cosa che giustifichi l’operazione.
Infatti non è l’implorazione della protagonista, lasciata su due piedi da un marito stufo della routine familiare ed alla ricerca di qualcosa che torni ad ispirare la sua arte (entrambi lavorano nel cinema: lui fa l’attore lei la montatrice) ma l’atto di riprendere come fosse un “tranche de vie” quella situazione a fornire il senso del film. L’idea del cinema nel cinema corredato da tutto l’apparato metacinematografico così come l’uso di uno stile che oltre a fare il verso alla novelle vague francese, sciorina tutto, ma proprio tutto il campionario del cinema indipendente americano (è la cosa ha funzionato visto che il film è entrato nel prestigioso cartello del festival di Robert Redford) è imbrigliato all’interno di un contenitore fintamente pauperistico ed invece dotato di quell’eleganza piaciona che sicuramente non deluderà l’immaginario consumistico e modaiolo ma avvilisce quasi subito le speranze di una presunta diversità. Se la Negri voleva dimostrarci di conoscere a memoria i manuali dei fratelli Lumiere ci è riuscita. Se invece, e questo noi crediamo, voleva convincerci di averne imparato la lezione “Rimprendimi” non riesce a passare l’esame e rimanda la sua autrice a tentativi meno pretenziosi.

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