Il personaggio interpretato da Helen Hunt è quello di una donna arrivata ad un bivio. Da una parte continuare a vivere con un marito adolescente ed incapace di sostenere il suo ruolo coniugale, e dall’altra seguire l’istinto del suo orologio biologico che le impone drastiche decisioni, come quella di restare incinta del figlio che lei desidera sopra ogni cosa, ed in maniera meno velata ma non meno urgente decidere cosa fare della sua vita. La sua faccia, pallida e sciupata ci dice di un esistenza infelice, vissuta in secondo piano rispetto all’umanità che la circonda e di cui si occupa e che sembra ignorarla per via di quel modo di fare contrassegnato da un understatement naturale.
Nel film tutto ciò occupa lo spazio necessario a creare i presupposti di un cambiamento lungo e doloroso, contrassegnato da sorprese insieme belle ma anche dolorose, che la protagonista attraverso dapprima con lo smarrimento e le nevrosi che abbiamo imparato a conoscere nel cinema di Cassavetes (qui punto di riferimento imprescindibile) e poi con la consapevolezza di una pienezza esistenziale finalmente raggiunta. Helen Hunt costruisce la storia in maniera essenziale con un lavoro di sottrazione che investe non solo gli attori, contenuti nei loro estri (la redivivaBetty Midler, simpatica ed insolitamente sobria) così come nella tendenza a mettersi in disparte (Colin Firth finalemente in un ruolo dove deve mostrare un certo temperamento) ma anche gli ambienti, ritagliati sui protagonisti da cui sembrano acquistare una dimensione di lateralità, con quegli scorci della città newjorkese, appartati e lontani dall’iconografia ufficiale, una specie di terra di mezzo illuminata da un sole malato e scandita da ritmi che appartengono all’america di provincia. Dietro la finzione traspare una messa a nudo sofferta ma sincera in cui il riconoscimento delle proprie radici culturali (siamo in pieno yddish newyorkese) convive all’interno di una esperienza personale che rivendica la propria automia. Senza proclami e con un battage pubblicitario ridottissimo la Hunt realizza un viaggio personale e collettivo che ci riguarda da vicino ed in cui ognuno si può ritrovare a patto di riconoscere gli alti e bassi della propria umanità
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