Torna Andrea Zanasi dopo un decennio di latitanza e almeno due film che ci erano rimasti nel cuore (Nella mischia, A domani) per raccontare ancora una volta una storia di passaggio, una specie di linea d’ombra sentimentale e tragicomica imperniata sulle vicissitudine di uno strampalato ed inconcludente chitarrista, che ha la faccia, o sarebbe meglio dire la maschera di Valerio Mastrandrea, impegnato in un difficile quanto salutare revival familiare. Ed anche questa volta, a dispetto dell’anagrafe e di un evidenza che sembrebbe dire il contrario, Zanasi ci mette di fronte ad un umanità che affronta i problemi della vita con lo stupore, lo smarrimento ma anche la leggerezza dell’universo adolescenziale per tratteggiare un percorso di liberazione e di crescita che assomiglia ad una resa dei conti surreale e per nulla scontata, fatta di alti e bassi, di momenti felici e di occasioni perdute, a volte crudele ma in fin dei conti necessaria alla vita.
Tutto il film è giocato sulle facce e sui corpi dei personaggi; più della trama, che in fin dei conti non dice nulla di nuovo sull’ ipocrisia dei rapporti familiari e sulle solite delusioni generazionali, conta il modo con cui il regista si serve degli attori per rappresentare queste situazioni. E’ dà li, dal contrasto tra le dimensioni pantagrueliche ma vitali del fratello sull’orlo di una crisi di nervi interpretato da Battiston e quello segaligno ed ossuto del protagonista, da quello sensuale e materno della puttana santa di Caterina Murino, a quello androgino ed asessuato di Anita caprioli, una sorella che è una specie di stella polare attorno alla quale ruota il resto della ciurma, che il film prende quota. Ma il film non potrebbe essere tale se non ci fosse la presenza Monstre di Valerio Mastrandrea, interprete perfetto di un simpatico idiota che in qualche modo sembra aggiornare in chiave fumettistica (la sua fisicità è una via di mezzo tra lo Zanardi Pazienziano ed il Lucky Luke Bozzettiano) lo studente perdigiorno di “Tutti giù per terra” grazie ad una recitazione di grande spontaneità. Ed è proprio quest’area da fumetto in carne ed ossa che il film assume dal suo protagonista a rendere “Non pensarci” qualcosa in più di un semplice divertissment, ma anche, e ci verrebbe da dire “meno male” in meno di un film autoriale.
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