di: R.Scott.
con: C.Bale, J.Edgerton, B.Kingsley,
J.Turturro.
- GB, USA, Sp, 2014 -
150'
I tormenti
(nell'accezione stimolante del termine) estetici di Scott
espongono praticamente da sempre il suo Cinema bello-da-vedere ad una diffusa
quanto tacita diffidenza, fattasi verbo in ragione della sopracciliosita' di
alcuni i quali, pur apprezzandone le innegabili doti tecniche e compositive
nell'elaborazione visiva, spesso non si esimono, al momento di trarre una
valutazione d'assieme, dal ricusarlo comunque, in quanto, alla fin fine, poco
incline alle complessità psicologiche e alle pazienti
calibrature dei chiasmi narrativi, tralasciando, per sovrappiù e quasi per
intero, la capacita' - sovente fuori dal comune - di allestire corpi
spettacolari in cui lo sguardo e' senza tregua
guidato da sollecitazioni sensoriali atte alla costruzione di un'esperienza che
e' in primis fisica e solo in seguito organizzata (e,
chissà, redarguita) dagli strumenti del raziocinio
[pensiamo, per esempio, ad un'opera - rimaneggiata più e più volte, e' bene
ricordarlo - come "Legend" (1985), fatta a pezzettini dalla gran
parte di coloro che ci si sono imbattuti, nel cui cuore e ai cui margini a
volte fanno capolino, magari affastellandosi, intermezzi di vuoto di pura ascendenza pittorica, con grumi di generosa inattualità e
financo dubbia pertinenza di accostamento, a base di Constable, per dire, o di
Millais e Holman Hunt, gli uni e gli altri a rincorrersi nelle pieghe delle
inquadrature in un tripudio di dettagli e moltiplicazione di punti da dove si
diffonde la luce].
In altre
parole, questa sorta di aposematismo cinematografico, tanto connaturato,
quanto, diciamo così, irrispettoso, certo com'è della propria legittimità a
prescindere dalle mode culturali e dalle categorie consolidate di giudizio, non può che risultare indigesto a tutta una serie di palati (a fasi
alterne e per il poco che vale, anche a quello di chi scrive) che stentano a
riconoscere la possibilità della pregnanza di una autentica
narrazione-per-immagini che privilegi codici suoi propri in
alternanza/alternativa al sostegno di quelli più propriamente letterari a cui, non di rado (e nel caso
specifico di "Exodus" parliamo di ben otto mani al lavoro, il che,
come e' ovvio, non e' di per se' garanzia di nulla, anzi, non si contano
neanche le volte in cui tali rassemblements abbiano partorito mostri), tra l'altro, sopperisce. Tutto ciò nel bene come nel male, chiaro.
E gioielli, armi, stendardi, uniformi: le stesse pietanze, i mattoni di adobe o i bistri e le cosmesi del corpo che si accavallano e si separano in un tripudio di blu cobalto, mavi, avorio, giallo pieno o sabbiato, verde, ocra, et., ad esaltare quella costante ricerca sulla forma, sulla materia, da tempo immemore in Scott perno semantico attorno al quale far ruotare le storie o, perlomeno, centro di gravita' da cui attrarle al fine di tentare una perfetta compenetrazione.
cospicui interludi discorsivo/preparatori (durante i quali il ritmo si fa ondivago, gli snodi a volte approssimativi o sommari), quelli piùdottrinali inclusi (tra l'altro, la parte più didascalica del film, oltreché, tutto sommato, marginale, con buona pace delle lagne causidiche a cura degli inconsolabili del club-della-correttezza-filologica), destinati poi, questi e quelli, con ogni evidenza, a retrocedere a punti di raccordo per le sequenze belliche, animate da un fervore terragno parente stretto di quello di precedenti recenti - "Kingdom of heaven" (2005), "Robin Hood" (2010) - o per quelle più mistico-documentaristiche, come le piaghe d'Egitto, le manifestazioni arcane del divino, l'attraversamento del Mar Rosso, et.
Al netto
delle imprecisioni e di un certo intrinseco logorio
relativo alla più che consolidata consuetudine coi fatti narrati, l'opera di
Scott s'impone all'attenzione per il suo fascino ricercatamente démodé unito all'impercettibile ma insistente sospetto circa l'incombere
sugli uomini di una volontà ad essi non necessariamente benigna. Elementi,
entrambi, che contribuiscono a fare di "Exodus" qualcosa di superfluo
e - a tratti - struggente, come un fiore sgargiante fuori stagione.
TFK
1 commento:
Lo guarderò volentieri perché visivamente Scott sa sempre farsi apprezzare, senza troppe aspettative sulla storia o su chissà quale originalità
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