Joe
di D.G.Green.
con, N.Cage, T.Sheridan, R.G.Blevins, G.Poulter, A.Mishler.
USA 2013
genere, drammatico
durata, 115'
"Eccolo,
il ragazzino. E' pallido e magro, indossa una camicia di lino lisa e
sbrindellata". L'attacco di "Meridiano di sangue" di C.McCarthy ha quasi
trent'anni sulle spalle, ormai, ma ancora levita con una certa agilità,
tale, anzi, da non faticare troppo al momento di adattarsi al profilo
di quelle non meno esili di Gary/Sheridan (uno dei volti più
interessanti emerso di recente) in "Joe", lavoro datato 2013 a cura di
D.G.Green, scritto a partire da un romanzo di Larry Brown e
fuggevolmente transitato dalle nostre parti.
Per
quegli strani cortocircuiti che a volte il Cinema innesca allo scopo di
rinnovare - con misteriosa malizia, perché no ? - la suggestione per
cui magari esiste sul serio una sola grande narrazione della quale - di
volta in volta - s'affaccia alla curiosità un particolare punto di
vista, avevamo appena finito di annotare con gli occhi e con un animo
solo in parte sollevato la traccia di un sorriso sul volto di Ellis/di
nuovo Sheridan, per l'appunto, in "Mud" di J.Nichols (opera anch'essa
solo intravista sugli schermi), che e' già tempo di ratificarne
l'avvenuta dissoluzione e repentina metamorfosi in un'espressione a
meta' fra sdegno, livore e muta disperazione.
Il malessere della
crescita e', ne' più ne' meno, uno dei cardini psicologici
dell'esistenza, su cui ogni Cultura, nel tempo, si esercita apportando
modifiche, modulando sfumature, inibendo asperità, allo scopo
d'incidere in maniera significativa sul carattere. In che misura ciò
avvenga, e' difficile da stabilire con certezza. Si potrebbe prendere in
considerazione - per esempio e per contrasto - la frequenza, ossia la
relativa puntualità, con cui questo malessere fa capolino
nella Storia, la ritrosia o la docilità con cui reagisce alle
sollecitazioni culturali in cui si trova immerso, e constatarne
l'effettivo ruolo e peso nella costruzione del cosiddetto spirito-del-tempo (pensiamo,
a mo' di termine di paragone, all'atteggiamento tenuto dalle giovani
generazioni nell'imminenza dello scoppio del primo conflitto mondiale).
Come che sia, tale attrito (o assimilazione) si presta al racconto,
produce cioè letteratura, di cui, ad esempio, il romanzo di formazione e' forse il canone espressivo più conosciuto, sebbene non il solo.
Applicare
il predetto assunto al Grande Paese, poi, significa embricarlo ad un
elemento che a quelle latitudini segna uno scarto decisivo: il Mondo
Naturale. Esso, nello specifico, oltre a rappresentare spesso il banco
di prova della pregnanza e dell'autenticità di quel malessere, ancor più di frequente ne circoscrive i limiti interiori e morali,
oltreché materiali [si veda, per dire, la collocazione tra le montagne
del Missouri in "Winter's bone" della Granik (2010) o la Pennsylvania
brutale e appartata in "Out of the furnace" di Cooper (2013), e il modo
in cui questi luoghi lavorano sui personaggi della Lawrence (Ree)
e di Affleck C. (Rodney)]; ne scandisce le tappe completando il quadro
di un itinerario in direzione di una forma più o meno stabile di maturità o verso i territori senza ritorno della lenta o drastica dissipazione di se'. Più di ogni altra cosa, pero', partecipa da pari a pari nelle vesti di presenza impassibile ma dialogante - in grado cioè d'interrogare - in rapporto alla quale, alla fin fine, quel malessere si
sforza di trovare almeno una collocazione, se non arriva, a volte,
grazie a questo vincolo, persino a lambire un senso. Ecco, allora, che
ciò che in "Mud" e' il Mississippi per Ellis - palcoscenico d'acqua su
cui tutto può accadere; scrigno fluente di gesta passate e promessa di
avventure future; insidia e possibilità - per Gary in "Joe" e' il
paesaggio scabro e arcigno del Texas, con la sua vegetazione stenta e
aspra - Joe, interpretato da un Nicolas Cage che inaspettatamente
conferisce stanchezza palpabile e trattenuto disincanto alla sua nota
mono-espressione perplessa/assente, si guadagna da vivere sopprimendo
alberi malati in una pineta malmessa a favore di esemplari più
resistenti - ; i suoi cieli sconfinati e diffidenti (il sole inesorabile
su mese che lo subiscono da sempre e da altrettanto non gli si
arrendono mai del tutto; le piogge improvvise e battenti); le sue leggi
non scritte, tanto arcaiche e spietate, quanto semplici e immutabili:
"Un uomo cerca il proprio destino e nessun altro... Qualunque uomo
avesse la possibilità di scoprire il proprio fato, e pertanto scegliere
un percorso opposto, alla fine arriverebbe soltanto alla medesima resa
dei conti in quello stesso momento stabilito, perché il destino di ogni
uomo e' grande come il mondo che abita, e contiene in se' anche tutti
gli opposti. Questo deserto sul quale tanti sono stati distrutti e'
vasto ed esige un grande cuore, ma in fondo e' anche vuoto. E' aspro e
arido. La sua vera natura e' la pietra" - C.McCarthy, op. cit. -
"Joe"
e' anche, d'altro canto, senza incertezze, l'esasperante evanescenza
dei padri, che in mancanza o per l'inadeguatezza delle risposte addotte
all'instancabile periplo dei giorni, s'intride di crudeltà (il film si
apre su uno sprezzante destro assestato al quindicenne Gary, che,
letteralmente, lo abbatte sulla massicciata di un binario che ha tutta
l'aria di essere morto da un pezzo), d'indifferenza, di una specie di
rancore sordo, primordiale, in cui fermentano gli echi discordi di esistenze adulte distrutte
dall'alcool, da occupazioni di autistica ripetitività,
dall'abbrutimento sempre dietro l'angolo ogniqualvolta ci s'illude che
la semplice prossimità con la Natura Selvaggia non implichi prezzi da
pagare (non ultimi, condizioni materiali al limite dell'abiezione;
riemergere di pulsioni violente svincolate da ogni mediazione: torsione
degli affetti nella perversione di una ferina idea di possesso o nella
patologia autoconservativa delle logiche del clan). E' la ballata triste
intorno ad un rapporto mai nato (la lontananza dei padri essendo, al tempo, uno dei topoi ricorrenti nell'inconscio profondo a stelle e strisce, e un doloroso paradosso: America nazione ingombra di padri fondatori - non di rado ingombranti anch'essi - e pressoché orfana di padri naturali) a cui, ogni volta, l'esuberanza e la fragilità giovanile oppone la ricerca di un succedaneo, di una figura vicaria
disponibile a condividere la scoperta del mondo, di ciò che ne resta o
che ancora vi somiglia. Gary mutua, in tal senso, da Joe - uomo di fondo
introverso e solitario - la grammatica di base che il padre biologico
devasta un giorno via l'altro a suon di cazzotti e prepotenze, dentro e
fuori il recinto di lamiera ondulata e ciarpame che solo il bislacco
mastice impastato ad amarezza e atonia spinge a definire ancora casa. Apprende i rudimenti e la ferocia dei rapporti regolati dal denaro sotto le mentite spoglie del lavoro retribuito. Assimila la teoria in forza della quale le ragazze possono essere scrollate un po' dalla loro scenografica apatia se riesci a fare-il-muso come
si deve, cioè a disorientarle quel tanto da convincerle a concederti
qualcosa. Ritrova, in altre parole, quei due o tre appigli che tengono,
se ben maneggiati, ad un metro dalla desolazione e dalla poltiglia di
legami ridotti a pseudo-consanguineità (una madre inebetita dalle
sbronze e dallo squallore e una sorellina terrorizzata e incredula fino
al mutismo), insieme alla constatazione che anche quel poco può costare
il sacrificio più alto.
Se
davvero, allora, "un uomo cerca il proprio destino e nessun altro",
Gary, col concorso determinante di Joe, s'instrada verso il suo al
termine di una personale via crucis che prosciuga il malessere tipico
dell'età di ogni autoidulgenza - sebbene la mdp di Green assecondi, a
tratti, una certa prevedibile inesorabilità che relega i caratteri entro
il campo ampiamente arato dell'abulia e dell'ignominia, tendenza in
parte lenita dal fremere di spasmi di tensione sempre sul punto
di esplodere in qualcosa d'irreparabile e sostenuti e dilatati dai
pastosi cromatismi di Tim Orr - e lo riconsegna al verde nuovo di
un'esistenza tutta da scoprire (si ricomincia da dove Joe non e'
riuscito ad arrivare: l'interramento di decine di alberi su un'area
appena dissodata), un attimo prima che lo sguardo baratti senza
remissione la fiducia con l'odio. Ehi, Joe...
TFK
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