venerdì, gennaio 30, 2015

UNBROKEN

Unbroken
di Angelina Jolie
con Jake O'Connell, Miyavi, Domhall Gleason
Usa, 2014
genere, biografico
durata,  137'



Con l’avvicinarsi della notte degli Oscar, aumenta pericolosamente il numero di biopic melensi e storie autocelebrative, tanto amate dal pubblico degli Awards. Quest'anno  tocca ad "American Sniper", "The Theory of Everything", e "The imitation game", tutti film che hanno per protagonisti bravi ragazzi bianchi (si chiuderà un occhio sul fatto che il protagonista di quest’ultimo fosse omosessuale e sociopatico). Al novero dei puri di cuore non poteva sottrarsi Angelina Jolie che,dopo aver esordito alla regia con “In the Land of blood and honey” -pellicola misteriosamente caduta nell'oblio- in cui narrava  del conflitto nell'ex Jugoslavia, riprova ad affrontare temi storici. Prodotto da due colossi come la Legendary Pictures e la Universal, questo secondo tentativo registico narra  dell’atleta olimpico ed eroe di guerra Louis Zamperini. Adattato per lo schermo dai fratelli Coen, “Unbroken” e riscritto da Richard LaGravenese e William Nicholson, il film vanta un cast tecnico eccezionale, dalla fotografia di Roger Deakins (dodici volte nominato al premio Oscar), al montaggio di Tim Squires, fino alle musiche di Alexandre Desplat (vincitore di un Golden Globe e candidato ben otto volte all’Oscar). Nella prima prima parte del film viene mostrato Louie (Jack O'Connell) bombardiere nella seconda guerra mondiale e, alla stregua di un moderno romanzo di formazione, assistiamo alle vicende della sua giovinezza, passata a bere, fumare e fare a botte, fino a quando il fratello lo prese sotto la sua ala e lo incoraggió a scendere in pista. Da qui alle olimpiadi di Berlino del 1936, dove non conquistó la battaglia ma forní comunque un'ottima performance, il passo é breve. I momenti più efficaci della pellicola sono concentrati nel secondo atto, dove troviamo Louie e due compagni, incagliati su una zattera di salvataggio a seguito un incidente aereo, nel bel mezzo dell'oceano. Dopo 47 giorni di agonia, i sopravvissuti vennero catturati dai giapponesi, e trasferiti in vari campi di prigionia — di cui la regia non manca di descrivere doviziosamente ogni genere di tortura a efferatezza—. Certo é, che se con Unbroken l'intento della Jolie, era farci capire quanto Zamperini abbia sofferto e ingiustamente patito, non possiamo certonegarle di aver centrato l’obiettivo. 


Sulla carta soggetto e cast attoriale garantivano da soli buona parte della riuscita del film. Peccato che la pellicola non sia lontamente all'altezza delle sue possibilità. La Jolie infatti non offre un prodotto che si distingue dai tanti film bellici che la seconda guerra mondiale ha ispirato. La regia è piuttosto manichea, buoni e cattivi sono divisi in due opposti schieramenti (tanto che già prima dell'uscita del film il Giappone ne vietò la riproduzione), senza alcun approfondimento psicologico dei protagonisti. Della vicenda stessa vengono accuratamente scelti alcuni avvenimenti succulenti e spendibili per un pubblico medio che vuole schierarsi col povero eroe di guerra. Non si fa il benché minimo accenno ad avvenimenti scomodi per una produzione americana, come le migliaia di giapponesi che furono internati in campi di prigionia da Roosvelt, o la famosa quanto discussa stretta di mano fra Hitler e Zamperini. 


Per non parlare poi di lati oscuri ma certamente più interessanti della vita del protagonista, come il disturbo post traumatico da stress di cui soffrí per molti anni dopo il ritorno in patria, che lo fece sprofondare in un periodo di alcolismo da cui uscì solo grazie alla fede in Gesù. Tutti eventi, questi, che vengono tristemente relegati a qualche scritta alla fine del film, e cui lo spettatore ormai, dopo più di due ore di lenta e agghiacciante descrizione di torture, non può certo prestare la dovuta attenzione. Ma d'altro canto considerando il sottotitolo del libro da cui il film è stato preso—Survival, Resilience and Redemption—, non ci si poteva che aspettare una venerazione delprotagonista, le cui gesta sono praticamente assimilate a quelle del Cristo: chiarissima in questosenso la rappresentazione di una delle tante torture subite da Zamperini nell'ultimo campo di prigionia, quando dovette tenere un'asta di legno sulle spalle, formando così la posizione del Cristoin croce. Zamperini merita tutto il rispetto e il riconoscimento possibile, ma questo, ma questo nosignifica che si debbano trasformare le sue gesta eroiche in un’agiografia. 
Erica Belluzzi

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