Still Alice
Festival internazionale del film di Roma - 3 giornata
di Richard Glatzer e Wash Westmoreland
Usa, 2014
durata, 99′
Il
termine “americanata” è un neologismo circa il quale neppure tre pagine
di dizionario basterebbero a descriverne tutte le declinazioni in
maniera esaustiva. “Still Alice”, film di Richard Glatzer e Wash
Westmoreland – che narra di una madre di famiglia ammalatasi di una rara
forma di Alzheimer precoce – ne assume tutti i connotati peggiori.
Postulato
che è doveroso fare un minuto di silenzio per la sceneggiatura, che ai
mielosi tratti drammatici ne alterna alcuni comici iper-calcolati,
rendendo la riuscita finale assiduamente artificiosa e pre-frabbricata,
Still Alice racconta di quanto il dramma più grande di un essere umano
sia la distruzione della felicità (?) di una famiglia borghese da parte
di una malattia rara. Lasciato, quindi, completamente da parte il lato
umano della vicenda, tutto si concentra su come la tragedia vada a
modificare gli equilibri inter-familiari, annullando di fatto qualsiasi
dinamismo nell’evoluzione (o involuzione) dei personaggi e rendendo la
visione noiosa – per non usare epiteti peggiori-. Non ci vengono
risparmiati neppure i flashback girati in super-8, né il discorso
commovente (?) al termine del quale tutta la platea si alza in piedi
lacrimando. La regia, a tratti apatica e a tratti antipatica, trova i
momenti di maggiore esaltazione nel fare continua pubblicità al marchio
“Apple”, rimarcando in malo modo il concetto con la battutaccia affidata
ad Hunter Parrish circa la superiorità della tecnologia sull’uomo. La
bravura del cast, ovviamente, non basta a risollevare le sorti di un
prodotto di così basso livello.
Lo
spunto di partenza di “Still Alice” è tanto ottimo quanto pessimo ne è
lo svolgimento. La mela di Steve Jobs, a quanto pare, vale più di quella
di Isaac Newton.
Antonio Romagnoli (voto *)
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