Ferrari
di Michael Mann
con Adam Driver, Patrick
Dempsey, Panelope Cruz
USA, 2023
genere: storico, biografico,
drammatico
durata: 130’
Uno dei titoli più attesi (complice anche la presenza del cast con deroga dagli scioperi) è sicuramente Ferrari di Michael Mann.
Un cast assortito che
mescola italiani ad americani (e non solo) riesce a destreggiarsi nella lineare,
seppur non così semplice, storia di Enzo Ferrari e della storica azienda.
Il film, tratto dal romanzo Enzo Ferrari: The Man, The Cars, The Races, The Machine di Brock Yates, prodotto da Moto Pictures, sarà distribuito da 01 Distribution.
È l’estate del 1957. Dietro lo spettacolo della Formula 1, l’ex pilota Enzo Ferrari è in crisi. Il fallimento incombe sull’azienda che lui e sua moglie Laura hanno costruito da zero dieci anni prima. Il loro matrimonio si incrina con la perdita del loro unico figlio Dino. Ferrari lotta per riconoscerne un altro, avuto con Lina Lardi. Nel frattempo la passione dei suoi piloti per la vittoria li spinge al limite quando si lanciano nella pericolosa corsa che attraversa tutta l’Italia: la Mille Miglia. (Fonte: La Biennale)
Quello che ci si può
aspettare da un regista come Michael Mann è un guizzo, un’intuizione, almeno un
elemento che sovverta gli standard canonici del cinema. I suoi titoli più
celebri lo hanno dimostrato e Ferrari aveva tutte le carte in regola per
seguire la scia de L’ultimo dei Mohicani, Heat, Collateral.
Per questo biopic,
invece, Mann sceglie di adagiarsi sul terreno più facilmente raggiungibile
della semplicità. Il regista statunitense, infatti, sembra limitarsi a esporre
i fatti come sono accaduti, anticipandoli e facendoli seguire da didascalie
esemplificative di quanto mostrato sullo schermo.
Se la prima parte
risulta, nonostante la quasi totale assenza di scene in corsa, la più
interessante e, per certi versi, quasi adrenalinica, la seconda punta tutto
sulla celebre corsa Mille Miglia alla quale viene riservato un buon minutaggio.
Tutto sembra poggiare sulle spalle di questo momento. Il pubblico è in
fermento, così come i piloti stessi che dovranno affrontare la gara.
Ma a poco vale
l’inserimento di quello che è stato definito dal regista stesso come l’incidente
automobilistico più cruento della storia del cinema.
Una corsa e una rincorsa che tengono lo spettatore incollato allo schermo e che tolgono il respiro nel momento del climax assoluto, ma che, così facendo, confezionano un film non troppo diverso.
La suspense che inizia
con il primo giro di prova da parte di uno dei piloti del team Ferrari culmina
nella celebre corsa. Una corsa che si trasforma da semplice gara a una corsa per
la vita in tutti i sensi. Ferrari nutre speranze nella vittoria di uno dei suoi
piloti per far fruttare la propria azienda e il marchio, i piloti, dal canto
loro, oltre che sperare di essere inseriti in un albo d’oro storico e rimanere
nella memoria collettiva, sono spaventati per la propria incolumità.
Riusciranno a tornare a casa sani e salvi dalle proprie famiglie e dai propri
cari?
L’inseguimento che ne scaturisce è come una lotta all’ultimo sangue, tra Ferrari e altre macchine che vengono citate, ma rimangono sempre in secondo piano, come se fossero omologate ed equivalenti tra loro, sempre un gradino sotto rispetto alla storica rossa di Maranello.
Da un biopic del genere
non può mancare, naturalmente, la vita privata del protagonista e tutto quello
che ne consegue.
Anche in questo senso Michael
Mann decide di rimanere sulla classicità e sull’inserimento del quasi
onnipresente dramma familiare. Parte integrante della vita e delle decisioni,
anche lavorative, di Enzo Ferrari, diventa fondamentale il suo rapporto incrinato
con la moglie Laura, ma anche e soprattutto la sua relazione extraconiugale con
Lina Lardi.
Con la prima la ferita è
ormai troppo grande da ricucire e la scomparsa prematura dell’unico figlio Dino
è la classica goccia che fa traboccare il vaso. Invece, con la seconda, il
rapporto è diverso, amore e affetto, tanto da dare alla luce un figlio
(riconosciuto ufficialmente solo in seconda battuta).
Una vita privata che sembra procedere come quella sulla pista. Il matrimonio e l’inizio di una vita insieme e la decisione di aprire un’azienda. La prima frattura (e il tradimento) e l’inizio della decadenza dell’azienda stessa.
Partendo dal presupposto
che scegliere un cast straniero per un film del genere è piuttosto rischioso, Ferrari
può comunque fare leva sui suoi interpreti. Oltre che su una giusta dose di
ironia.
Adam Driver, ormai
avvezzo a ruoli italiani, dopo il suo Maurizio Gucci, cerca di dare risalto
all’ennesimo personaggio, per certi versi, controverso della storia italiana.
Al suo fianco una brava Shailene Woodley nel ruolo di Lina che, però, poco si
avvicina alla fisicità, le movenze e le pose italiane. Cosa che, invece, riesce
meglio all’interprete della moglie Laura, Penelope Cruz. Con alle spalle alcune
esperienze italiane, l’attrice spagnola convince grazie anche al suo costante
malessere, alle sue occhiaie pronunciate e ai suoi modi di fare da vera padrona
della casa (e della scena).
Belle interpretazioni
che, però, possono poco sulla decisione di utilizzare costantemente la lingua inglese
(tranne qualche parola saltuaria). Un inglese quasi maccheronico quello che
viene utilizzato dai personaggi del film che cercano, così facendo, di
avvicinarsi all’italiano. E anche gli italiani stessi (da Lino Musella ad Andre
Dolente, da Michele Savoia a Giuseppe Bonifati) sono costretti a parlare
inglese.
Per concludere fa,
quindi, sorridere, e anche riflettere, che Enzo Ferrari parli inglese, pur
essendo nato e vissuto a Modena…
Veronica Ranocchi
(recensione pubblicata su taxidrivers.it)
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