Io capitano
di Matteo Garrone
con Seydou Sarr,
Moustapha Fall, Issaka Sawagodo, Hichem Yacoubi
Italia, Belgio, 2023
genere: drammatico
durata: 121’
Presentato in concorso all’80esima edizione della mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, Io capitano è il nuovo film di Matteo Garrone.
Il film, prodotto da Archimede,
Rai Cinema, Tarantula, Pathé FIlms, sarà distribuito da 01 Distribution.
Un racconto, tematicamente e visivamente, potente.
Io Capitano racconta il viaggio avventuroso di Seydou e Moussa, due giovani che lasciano Dakar per raggiungere l’Europa. Un’Odissea contemporanea attraverso le insidie del deserto, gli orrori dei centri di detenzione in Libia e i pericoli del mare. (Fonte: La Biennale)
Un tema impegnato e
impegnativo quello scelto da Garrone per il suo nuovo film che, per certi
versi, sembra tornare alle origini con aspetti che richiamano i suoi primi
lavori. Se, in qualche modo, la presenza di Ospiti e Terra di mezzo si vede e
si sente, è altrettanto evidente lo scenario dei film più recenti.
Io capitano è il mix
perfetto della poetica di un Matteo Garrone in splendida forma, a metà strada
tra il documentario e la finzione.
Seydou e Moussa sono due
personaggi qualunque, non sono gli eroi, né hanno particolarità che possano
renderli tali. Anzi, sono gli emarginati, quelli che hanno bisogno di aiuto e
che, per questo, lo ricercano autonomamente. Un po’ come il Marcello di Dogman e
anche lo stesso Pinocchio.
Per sapere qualcosa della loro vita quotidiana e familiare al regista bastano pochi istanti: una condizione quasi inconcepibile per l’Occidente che fa scattare subito il senso di protezione nei loro confronti. I bei colori e i canti del posto, mescolati ai sorrisi dei vicini e ai giochi delle sorelline sono, in realtà, velati di tristezza. Una tristezza che i due pensano di poter fermare.
Seydou e Moussa sono
cugini. Inseparabili e dipendenti l’uno dall’altro, decidono insieme di partire
per questo viaggio, un’Odissea contemporanea che li metterà di fronte a tanti
pericoli e ostacoli. Ciononostante, al di là dell’importante forza di volontà e
della profonda fiducia l’uno nell’altro, il film di Garrone ha come scopo anche
quello di mantenere sempre accesa la luce della speranza.
Proprio il profondo legame tra i due permette di vedere Io capitano in un modo speciale. Senza cadere in pietismi e in retorica, Garrone presenta i fatti, fa empatizzare con i personaggi che, dall’essere i due protagonisti, diventano ben presto due viaggiatori universali. Il loro viaggio è quello compiuto da tanti altri come loro.
La bravura del regista
romano, però, risiede nel presentare la tematica e i personaggi in un modo
convenzionale e, al tempo stesso, diverso dal solito. È vero che la messa in
scena e le scelte registiche sono classiche, pulite, senza sbavature, ma il prodotto
finale che arriva allo spettatore è quello di un film che non ha una
definizione precisa. Come detto, è a metà strada tra il documentario e il film
di finzione. E per fortuna.
Con delle belle panoramiche sull’incredibile vastità dei paesaggi e poi l’insistenza sui primi piani, spesso sofferenti, emaciati e sanguinanti, dei due giovani, Io capitano racconta ed emoziona. Ma soprattutto fornisce speranza a chi guarda e a chi vive il viaggio in prima persona. La sensazione, infatti, non è mai di totale smarrimento. Quella luce in fondo al tunnel accompagna costantemente i personaggi e il pubblico con loro.
In un film come Io
capitano la storia parla da sé e qualsiasi elemento stilistico a supporto della
narrazione appare quasi superfluo. La storia che vediamo è in soggettiva, dal
punto di vista dei due giovani che sperano di compiere un viaggio più grande di
loro, ma che li porterà alla terra promessa, quell’Europa che agognano come il
luogo dei sogni.
Ad alimentare la
soggettività ci sono gli enormi e incredibili spazi aperti e sconfinati che si
stagliano davanti a Seydou e Moussa, impotenti di fronte a cotanta vastità. Ma
subito, per contrasto, ad opprimere questo senso di libertà c’è l’uso delle
luci che si fanno sempre cupe nei momenti di massima paura e perdita di
fiducia.
Come detto, però, è la
speranza che guida il film di Matteo Garrone e i sogni a occhi aperti che il
giovane Seydou fa ne sono la dimostrazione pratica. Fantastici e apparentemente
scollegati dal resto della narrazione, sono, invece, emblema di una morale e
una moralità che il film vuole lasciare allo spettatore.
Forse troppo favolistico
o troppo sognatore, ma Io capitano di Garrone ha la forza prorompente di
contrastare dei buoni avversari. Un po’ come il grido disperato e liberatorio
di Seydou. Perché siamo tutti un po’ capitani.
Veronica Ranocchi
(recensione pubblicata su taxidrivers.it)
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