Maestro
di Bradley Cooper
con Bradley Cooper, Carey
Mulligan, Matt Bomer
USA, 2023
genere: biografico,
drammatico
durata: 129’
La cura filologica tipica
del biopic unita alla cura formale dell’opera destinata al grande pubblico sono
da sempre un’arma a doppio taglio: sinonimo di professionalità e di rispetto
delle fonti ma al tempo stesso cause di una perfezione che spesso sconfina
nell’artificialità. In questo senso il regista Bradley Cooper, coadiuvato da
una squadra di produttori da far paura (tra di loro figurano Martin Scorsese e
Steven Spielberg) non si nasconde, puntando, sì, alla credibilità del cinema
d’autore ma senza rinunciare allo spettacolo e dunque alle grandi possibilità
di allestimento messegli a disposizione da mecenati che di certo non gli hanno
fatto mancare il tempo (e i soldi) per costruire la performance interpretativa,
musicale e coreica in cui si lo stesso si cimenta nel corso del film.
Che poi il regista ne
abbia fatto buon uso è un’altra storia, poiché il bianco e nero elegante e
levigato si addice all’upper class newyorkese e ai prestigiosi auditori
frequentati dal protagonista, nella stessa maniera in cui quello sporco e
materico era appropriato alle provocazioni anti-sistema e ai night club
metropolitani da cui Lenny Bruce lanciava i suoi anatemi nel capolavoro di Bob
Fosse "Lenny".
Certo è che
"Maestro" prende sul serio le parole del suo protagonista,
soprattutto quando afferma la difficoltà di irreggimentare un talento così
poliedrico (autore, compositore, performer, direttore d’orchestra, insegnante
musicale e altro ancora) da rendergli la vita schizofrenica.
"Maestro" lo dichiara fin da subito attraverso la scena della famosa
telefonata che gli cambiò la vita, facendo debuttare Bernstein alla Carnegie
Hall in sostituzione del titolare improvvisamente malato. Cooper fa
corrispondere infatti la rivoluzione artistica ed esistenziale di Bernstein a
quella della macchina da presa che nel lungo e mirabolante piano sequenza dal
buio della camera da letto porta il nostro direttamente sul palco da cui di lì
a poco prenderà il volo la sua luminosa carriera.
Ma non solo, perché
facendo sua a livello filmico la dissociazione di cui sopra "Maestro"
racconta l’ascesa del protagonista e con essa il crescendo della sua unione
sentimentale attraverso un montaggio che lavora soprattutto sullo spazio scenico,
mettendo in comunicazione senza soluzione di continuità pubblico e privato,
arte e vita, in un caleidoscopio visivo e sensoriale capace di rendere merito
all’irresistibile ascesa artistica e sentimentale della coppia.
Salvo poi, nella seconda
parte, rallentare il passo fino quasi a fermarlo per dare spazio e tempo alla
riflessione della maturità e alle ombre della vita con piani fissi che sembrano
materializzare l’impasse cui a un certo punto è sottoposta l’esistenza dei
personaggi. Un cambio di marcia anche visivo, con la fotografia destinata a
fare da contrappunto all’andamento emotivo del film. In bianco e nero quando si
tratta di raffreddare una materia di per sé incandescente e contenere la gioia
irrefrenabile degli inizi, a colori (anni Settanta) nel momento in cui c’è
bisogno di ravvivare la cupezza dovuta all’incedere del tempo e alla fatica di
tenere fede alle promesse della giovinezza.
Il suo essere multiforme
come lo è il protagonista appartiene al film anche dal punto di vista degli
interessi messi in gioco, perché se gli appassionati della materia potranno
apprezzare il lungometraggio per il suo andamento rapsodico e musicale e per la
colonna sonora che riprende le composizioni più celebri del musicista,
altrettanto importante e forse di più è la storia d’amore tra Leo e Felicia,
esemplare soprattutto oggi nell’offrire un modello di unione matrimoniale
capace di conciliare l’amore eterno con la libertà della propria natura
(l’omosessualità di Bernstein conosciuta dalla moglie non impedì alla coppia di
avere tre figli e una costante vita famigliare).
Sulla scia di "A
Star Is Born" Bradley Cooper continua a indagare il rapporto tra arte e
vita attraverso la relazione tra due artisti ancora una volta messi alla prova
dalla difficoltà di coniugare reale e ideale, creatività e ragione. Nel farlo
non si dimentica del proprio passato affidandosi alla bravura degli attori:
alla sua e a quella di una strepitosa Carey Mulligan, capace di sostenere e
ancora di più di dare vita con la presenza dello sguardo e l’intensità del
volto a primi piani che assurgono a dei veri e propri ritratti esistenziale.
"Maestro" è destinato a fare incetta di candidature, prima fra tutte
quella per la miglior attrice protagonista. Se fosse per lo scrivente la mitica
statuetta l’avrebbe già vinta.
Carlo Cerofolini
(recensione pubblicata su ondacinema.it)
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