The Killer
di David Fincher
con Michael Fassbender, Sophie
Charlotte, Tilda Swinton
USA, 2023
genere: azione, thriller
durata: 116’
Il regista diventa autore
quando non si limita a mettere in scena un copione con rigore professionale e
maestria tecnica, ma nel momento in cui, attraverso la sua opera, qualunque
essa sia, riesce a conferire uno sguardo personale sul mondo che racconta.
Quando succede il film, al di là della sua natura, può considerarsi un'opera e
il suo artefice un artista. Lo diciamo non a caso ricordando i pregiudizi che
accolsero l'uscita dei primi lungometraggi di David Fincher, rei, secondo i
detrattori, di essere solo film di genere, per di più realizzati da un ex
regista di videoclip. Per fortuna molta acqua è passata sotto i ponti, come
dimostra in questi giorni la presenza del suo nuovo lavoro nel concorso
ufficiale della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica.
"The Killer" è
in tutto e per tutto un film del suo autore. A dirlo è l'incipit, una lunga
introduzione in cui Fincher non solo ci presenta il personaggio principale, un
killer (Michael Fassbender) di cui non conosceremo mai il nome, ma si premura
di definirne l'arco esistenziale attraverso una fase di stasi, quella che
separa la lunga attesa dal momento in cui lo stesso dovrà premere il grilletto,
centrare l'obiettivo e riscuotere il soldo. Per Fincher il killer è una
macchina priva di emozioni che s'identifica con il proprio lavoro. Quando
questo non succede - come vediamo all'inizio del film -, allorquando l'empatia
verso una parte di mondo s'insinua nel metodo, qualcosa si rompe, lasciando
spazio al caos e a ciò che ne consegue: nel caso del film l'eliminazione di
chi, dopo il fallimento, lo vorrebbe morto. È una legge spicciola, quella che
fa da premessa alla storia di "The Killer", un processo di
causa-effetto che il protagonista porta avanti, da quel momento in poi, come
una macchina da guerra e con fede ossessiva in un mantra, oramai collaudato,
che la voce fuori campo ci fa sentire più volte nello svolgersi della vicenda.
La trama di "The
Killer" - tratta dalla graphic novel "Le Tuer" di Alexis Nolent
- è ridotta all'osso, ma utile quanto basta al regista per ragionare sul dramma
della condizione umana e sulle sorti degli uomini. Fincher lo fa come da tempo
ci ha abituato, e come nessuno fa più, ovvero scegliendo di non aprire il suo
thriller con il solito arrembaggio ipercinetico ma, al contrario, lavorando sul
tempo (dilatato e reiterato) e sullo spazio, circoscritto per lo più alla
stanza che si affaccia su quella in cui si trova l'obiettivo.
Interessato a esplorare
gli antri della mente (la serie "Mindhunter") e meno alle conseguenze
materiali delle sue dangerous mind ("Seven" insegna), Fincher, nel
lungo preambolo che fa da premessa a "The Killer", si prende tutto il
tempo che serve per definire il decalogo del protagonista, riproducendone la
disillusione attraverso una sorta di
spleen di Parigi (dov'è ambientata la prima parte), con immagini di vita
prosaica, il cui ripetuto minimalismo serve per trasmettere allo spettatore il
tedio della "morte al lavoro" (in quanto tale cinematografica per
eccellenza).
La maestria del regista è
quella di saper lavorare sul tempo come pochi, grazie a stacchi di montaggio
che rilanciano continuamente la narrazione, dividendola in una serie di micro
storie costruite e concluse, trasfigurando i particolari più anonimi del quotidiano
che nelle mani di Fincher, e secondo la lezione di Alfred Hitchcock, diventano
il riflesso delle nostre angosce, caricandosi di presagi e pericoli: fino
all'improvviso cambio di passo, quando la "finestra di fronte"
diventa oggetto di una sequenza che ancora una volta rende merito al maestro
inglese e dove l'eros e thanatos entrano nella tenzone con voyeurismo
cinematografico.
Con il rigore che
contraddistingue il suo cinema, Fincher, e con lui "The Killer", non
prende mai scorciatoie, rimanendo fino all'ultimo fedele alla personalità del
protagonista, che porta avanti la propria vendetta con freddezza e con una violenza
che la necessità di proteggere la propria famiglia giustifica solo in parte, e
che in qualche modo sfida lo spettatore - come mai si è visto a livello
mainstream - nel continuare a stare dalla parte del personaggio.
Un'intransigenza
rischiosa ma indispensabile per tratteggiare l'alienazione di un mondo come
quello contemporaneo, chiuso nelle sue ossessioni e incapace di comunicare con
gli altri. Il killer di Fincher è un homo faber che non sa cosa farsene delle
parole. Guardandolo, vengono in mente atmosfere presenti in certi film della
New Hollywood. Nella solitudine (e nonostante la consolazione offerta nella
scena conclusiva) il protagonista ricorda il personaggio di Robert Redford ne
"I tre giorni del Condor" (un altro film che, come "The
Killer", depotenzia i cliché tipici del genere). Anche nel film di Sydney
Pollack c'era una guerra in atto e, come oggi, i giornali parlavano di
cospirazione globale. Sarà un caso, o forse no, sta di fatto che "The
Killer" trasfigura il nostro tempo meglio di altri, oltre a incollare allo
schermo lo spettatore. Tra quelli visti in concorso "The Killer" è
uno dei film più convincenti.
Carlo Cerofolini
(recensione pubblicata su ondacinema.it)
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