Festival del film di Roma-8 giornata
All cats are grey
di S.Dellicour
Belgio201
durata, 85'
Nel
tranquillo (molti dicono semi-anestetizzato) Belgio, Dorothy,
adolescente di qual grazia e poche parole mena, in apparenza senza
troppi patemi, la sua routine borghese comoda e insulsa. Senonché un
cruccio non le da pace: il desiderio di conoscere il vero padre, quello
biologico, dal momento che l'altro - con cui condivide le abitudini di
tutti i giorni - altro non e' che il frutto della sagace mobilitazione
materna, finalizzata, attraverso un passaggio sull'altare, a meglio
puntellare le proprie ambizioni di classe. Dorothy un po' per noia, un
po' per testardaggine, un po' per autentica frustrazione, comincia ad
indagare per suo conto, coadiuvata da un all'inizio riluttante Paul -
detective privato dalla corporatura robusta e dall'animo malinconico,
convinto di essere lui il vero padre della ragazza - mettendo così pian
piano insieme le tessere di un puzzle che si rivelerà più complicato di
ciò che l'apparenza di una consuetudine confortevole e rispettabile
poteva lasciar supporre.
Il
circolo vizioso fatale in cui spesso finiscono per avvitarsi film del
tenore e della fattura di "All cats...", risiede nella rigidità
eccessiva della struttura drammaturgica, la quale, dopo aver isolato i
caratteri principali e averli impostati - la madre bas-bleu apprensiva
e invadente; il padre acquisito campione d'assenza; quello in teoria
naturale combattuto tra il senso di colpa e lo slancio di riannodare i
fili di un discorso affettivo troppo presto interrotto; l'amica del
cuore - Claire - programmaticamente ribelle in ragione di
atteggiamenti che combinano con scarse varianti, faccia tosta, indolenza
e lingua lunga - li obbliga a non muoversi più di tanto entro uno
schema di parole e gesti che, col tempo, tende sempre più ad abbandonare
la complessità del ritratto per accomodarsi nella più ovvia
restituzione di un cliché , precludendo, di fatto, qualunque ipotesi di evoluzione psicologica e, con essa, l'eventualità di un azzardo o di una sorpresa.
E
se sul serio tutti-i-gatti-sono-grigi, e' non tanto e non solo, quindi,
perché la madre di Dorothy paga con il rimorso e la vergogna forse
l'unica parentesi sfrenata di un'esistenza centrata sul controllo e
l'onorabilità, quanto per il motivo che nella passiva coerenza ad un
campionario ristretto di accorgimenti narrativi e formali, non viene
quasi data possibilità a tensione e coinvolgimento per ritagliarsi uno
spazio autonomo e attivo nella vicenda, lasciando di conseguenza campo libero ad una uniformità (una sorta d'indefinito grigiore, appunto) che della concretezza e della vitalità ha solo i contorni.
Da
rilevare, ancora, l'accorto lavoro sulla luce che, soprattutto negli
interni dalle geometrie moderne, si diffonde morbida nelle sfumature dei
bianchi, dei grigi e dei bruni; anche se, a stagliarsi davvero, alla
fine resta solo il viso chiaro e un po' scostante di Dorothy.
TFK
(voto: **)
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