di Burhan Qurbani
Germania 2014
durara, 123’’
Opera seconda del regista Burhan Qurbani, la pellicola si
presenta da subito interessante, sia per manifattura che per argomento. La
trama narra degli scontri, di matrice xenofoba, avvenuti a Rostock nel 1992,
dove alcuni naziskin hanno assaltato un edificio che ospitava numerosi
vietnamiti.
Il film è narrato sia dal punto di vista delle controparti -
ovvero skinhead ed immigrati -, sia dal punto di vista, in maniera tanto
realistica quanto avvilente, della
politica doppiogiochista e/o
impotente. La prima parte, interamente in bianco e nero, delinea in maniera
dettagliata la psicologia dei personaggi attraverso i quali è filtrata la
vicenda – anche se si perde, forse, un po’ troppo nel dettagliare le
vicissitudini adolescenziali, che rubano la scena al resto-. Il film diventa a
colori quando la prefazione, tirata un po’ troppo per le lunghe, passa al fatto
di cronaca in sé. Tutto diventa crudo ed in balia di una violenza verace che
trova il suo specchio nell’incendio, nonostante la cronaca sia reale quasi onirico,
che distrugge ogni speranza.
Quello dell’immigrazione, specie nella fase che sta
attraversando l’europa, è un argomento oltremodo delicato, e lo è ancor di più
ambientato in un teatro come la Germania. Il razzismo - come il film, seppur in
tutti i suoi difetti, ci fa cogliere - non è mai una ragazzata o lo scherzo di
una bambina: il razzismo è un cancro in metastasi frutto di una cultura, quella occidentale
europea, che fatica a levare le macchie di sangue dai propri panni ormai
putridi e maleodoranti. La pietra scagliata, sul finale, dal bambino alla
vietnamita, è denuncia ad cultura che s’identifica nel peccato originale dei
secoli trascorsi e di quelli a venire.
Antonio Romagnoli
(Voto ***)
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