Annie Parker
di Steven Bernestein
con Samantha Morton, Helen Hunt, Aaron Paul
Usa, 2013
durata, 91'
Nel cinema il tema della malattia è
stato quasi sempre e per ovvi motivi il pretesto per imbastire
melodrammi ad alto tasso di coinvolgimento. Ma accanto alle storie
strappalacrime sul tipo di quella che da "Love Story" in poi ha creato
una serie di emulatori più o meno all'altezza del capostipite, il filone
si è arricchito di varianti e sfumature che partendo dal caso clinico e
dalle sue conseguenze, si sono sforzate di offrire un motivo di
speranza allo spettatore scorato dalla visione di cotanta afflizione. Da
"L'olio di Lorenzo" a "Con il fiato sospeso" della nostra Costanza
Quatriglio, il genere in questione ha visto fiorire una serie di
pellicole che accanto al dramma della sorte avversa presentano il
tentativo di ribellarsi al destino già scritto attraverso
l'individuazione di una possibile cura.
In questo senso "Annie
Parker", diretto dallo sconosciuto Steven Bernestein, è paradigmatico
nel ricalcare per filo e per segno un canovaccio che, dopo il
contraccolpo della terriibile scoperta, vede la protagonista affrontare
il calvario di una risalita dolorosa e solitaria, in un'alternanza di
speranza e delusione fatto apposta per sottolineare lo spirito indomito
della donna, determinata a capire le ragioni di un destino che la unisce
alla madre e alla sorella, già morte per il medesimo motivo. Accanto a
lei ma impegnata sul fronte della ricerca la dottoressa Marie Claire
King condizionata dalla mancanza dei fondi necessari a portare avanti lasua battaglia.
Trattandosi
di personaggi realmente esistiti ma adattati per lo schermo da
sceneggiatori hollywoodiani (uno di questi è lo stesso regista) Annie e
Marie risentono di quelle tipizzazioni che vanno a nozze con i
personaggi esemplari, privi cioè di quelle linee d'ombra che di solito
appartengono alla vita ma che al cinema deprimono e spaventano Ad essere
esaltate sono così le doti di perseveranza delle due donne e la loro
ostinata fede nelle rispettive possibilità, così come la misericordia di
un paesaggio umano votato al sostegno incondizionato delle nostre
beniamine. La santificazione è dietro l'angolo ma ad impedirlo ci
pensano le intepretazioni di Samanta Morton e Helen Hunt (dopo The Sessions in un altra parte "terapeutica"), brave
nell'evitare i tranelli di ruoli che spingono l'acceleratore del pathos e
dell'empatia. Nel dare vita ai fantasmi delle rispettive solitudini -
Annie per via di un marito troppo fragile che non riesce più ad
accettarla, Marie a causa dello scetticismo di chi potrebbe finanziargli
le ricerche- si affidano ad una recitazione che non concede nulla di
più di quanto necessario. A dar loro manforte, Aaron Paul, in un ruolo
da "maledetto" che si allinea a quelli con cui abbiamo imparato a
conoscerlo.
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