venerdì, ottobre 31, 2014

ANNIE PARKER

Annie Parker
di Steven Bernestein
con Samantha Morton, Helen Hunt, Aaron Paul
Usa, 2013
durata, 91'
Nel cinema il tema della malattia è stato quasi sempre e per ovvi motivi il pretesto per imbastire melodrammi ad alto tasso di coinvolgimento. Ma accanto alle storie strappalacrime sul tipo di quella che da "Love Story" in poi ha creato una serie di emulatori più o meno all'altezza del capostipite, il filone si è arricchito di varianti e sfumature che partendo dal caso clinico e dalle sue conseguenze, si sono sforzate di offrire un motivo di speranza allo spettatore scorato dalla visione di cotanta afflizione. Da "L'olio di Lorenzo" a "Con il fiato sospeso" della nostra Costanza Quatriglio, il genere in questione ha visto fiorire una serie di pellicole che accanto al dramma della sorte avversa presentano il tentativo di ribellarsi al destino già scritto attraverso l'individuazione di una possibile cura.  
In questo senso "Annie Parker", diretto dallo sconosciuto Steven Bernestein, è paradigmatico nel ricalcare per filo e per segno un canovaccio che, dopo il contraccolpo della terriibile scoperta, vede la protagonista affrontare il calvario di una risalita dolorosa e solitaria, in un'alternanza di speranza e delusione fatto apposta per sottolineare lo spirito indomito della donna, determinata a capire le ragioni di un destino che la unisce alla madre e alla sorella, già morte per il medesimo motivo. Accanto a lei ma impegnata sul fronte della ricerca  la dottoressa Marie Claire King condizionata dalla mancanza dei fondi necessari a portare avanti lasua battaglia.


Trattandosi di personaggi realmente esistiti ma adattati per lo schermo da sceneggiatori hollywoodiani (uno di questi è lo stesso regista) Annie e Marie risentono di quelle tipizzazioni che vanno a nozze con i  personaggi esemplari, privi cioè di quelle linee d'ombra che di solito appartengono alla vita ma che al cinema deprimono e spaventano Ad essere esaltate sono così le doti di perseveranza delle due donne e la loro ostinata fede nelle rispettive possibilità, così come la misericordia di un paesaggio umano votato al sostegno incondizionato delle nostre beniamine. La santificazione è dietro l'angolo ma ad impedirlo ci pensano le intepretazioni di Samanta Morton e Helen Hunt (dopo The Sessions in un altra parte "terapeutica"), brave nell'evitare i tranelli di ruoli che spingono l'acceleratore del pathos e dell'empatia. Nel dare vita ai fantasmi delle rispettive solitudini - Annie per via di un marito troppo fragile che non riesce più ad accettarla, Marie a causa dello scetticismo di chi potrebbe finanziargli le ricerche- si affidano ad una recitazione che non concede nulla di più di quanto necessario. A dar loro manforte, Aaron Paul, in un ruolo da "maledetto" che si allinea a quelli con cui abbiamo imparato a conoscerlo.

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