Taken 3- l'ora della verità
di Oliviere Megaton
con Liam Neeson, Forest Whitaker, Maggie Grace, Famke Janssen
Francia, 2015
genere. azione
durata, 112'
Giunta al suo terzo
capitolo la saga di Bryan Mills, ex agente della CIA costretto a tornare
in azione per difendere la sua famiglia non mostra segni di stanchezza,
rilanciando le avventure del suo protagonista all'interno di un
panorama perfettamente integrato con luoghi e iconografie dell'action
movie americano. Una metamorfosi non casuale quella di "Taken", e in
totale sintonia con la carriera del "produttore" Luc Besson, il tycoon
francese capace di venire a patti con le radici della sua cultura,
liofilizzata negli aspetti più nobili e successivamente espansa
attraverso una grandeur rintracciabile non solo nella fiducia di poter
competere - dal punto di vista commerciale - con le major hollywoodiane,
sfidate e più di una volta surclassate sul loro stesso terreno (gli
stratosferici incassi di "Io vi troverò" e di "Lucy" ne sono un esempio)
ma di poterlo fare con una mimesi estetica che ha pochi precedenti.
"Taken" nasceva come tipico prodotto di rincalzo, pensato e realizzato come "copia conforme" dell'originale americano: era infatti un action movie che mutava le caratteristiche di genere, applicandole però ad un contesto prettamente imitativo. Besson e chi per lui ( ieri Pierre Morel, oggi Oliviere Megaton) immaginarono una Parigi losangelina, trapiantandovi una storia la storia di un giiustiziere americano costretto a volare in Europa per salvare moglie e figlia rapite da una banda di manigoldi. A parlare inglese era il ritmo incalzante delle sparatorie e degli inseguimenti come pure il protagonista Liam Neeson, attore allora in ribasso ma abbastanza yankee per essere annoverato nella categoria del bad cop cinematografico. Oggi invece, e qui arriviamo a "Taken 3 - L'ora della verità", la sensazione è quella di trovarsi di fronte al classico film d'azione americano: non solo perchè dopo una serie di avventure ambientate totalmente o in parte nel vecchio continente, gli Stati Uniti ritornano a essere il naturale far west della storia, e neanche per il fatto che Neeson, rivitalizzato dall'entusiasmo degli spettatori ha nel frattempo acquistato l'dentità necessaria a imporre il suo personaggio senza bisogno di ricorrere ad "aiuti" esterni. La ragione più intima e forse più banale risiede invece nella trama di una sceneggiatura che rispettando il trend in vigore (da "Tovarek" a "The Equalizer") scegli i cattivi di turno tra i figli della nuova Russia. Un omologazione non da poco per un prodotto scontato ma comunque godibile. Gli spettatori applaudono divertiti e questo basta a Besson per continuare ad andare avanti senza troppi cambiamenti.
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