giovedì, febbraio 26, 2015

VIZIO DI FORMA

Vizio di forma
di PT Anderson
con Joaquin Phoenix, Josh Brolin, Jena Malone, Owen Wilson
Usa, 2014
genere, giallo, commedia, drammatico, grottesco
durata, 148' 

 
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Seppur paradossale, un buon inizio per parlare onestamente di “Vizio di Forma” (Inherent Vice), è tenere a mente quale propria guida e traguardo, ciò che disse Rainer Maria Rilke, e cioè che le opere d'arte sono di una solitudine infinita, e nulla può raggiungerle meno della critica.Vizio di forma è il settimo lungometraggio di Paul Thomas Anderson e il primo adattamento cinematografico del testo di uno dei novellisti più interessanti e complessi
dello scorso secolo, Thomas Phynchon. Quando Shasta (Katherine Waterstone) si palesa in casa dell'ex fidanzato Larry Sportello, soprannominato "Doc" (Joaquin Phoenix, e si è già detto tutto), un investigatore privato hippie tossicodipendente, supplicandolo di aiutarla ad uscire dai pasticci, siamo catapultati in un turbinio di situazioni paradossali e allucinatorie senza capo nè coda. Il rischio di perdersi nei meandri della trama e delle vicende in cui Doc
deve infilarsi cautamente, o in cui si trova più spesso invischiato, è altissimo, ma forse questa volta dobbiamo rassegnarci e, per dirla sofisticamente, riconoscere che è più furbo chi si lascia ingannare. Voler dare una spiegazione all'Odissea del protagonista è praticamente impossibile nonché inutile e fuorviante, considerando che sin dalla prima scena ci troviamo in un labirinto in cui la Fortuna e il Caso —spesse volte anche il Caos— muovono la trama e gli avvenimenti assurdi in cui Doc si trova coinvolto.  La vicenda, del tutto incidentale, procede a matrioska. Se inizialmente Shasta vuole semplicemente l'aiuto dell'ex per evitare che l'uomo con cui si frequenta —un imprenditore edilizio egomaniacale "tecnicamente ebreo ma che vuole essere nazista"— venga internato in un ospedale psichiatrico dalla moglie e dall'amante di lei, ben presto Doc, si troverà a dover fare i conti, uno dopo l'altro, con la scomparsa di Shasta, con un'ex eroinomane (Jena Malone) il cui marito sassofonista (Owen Wilson) è scomparso in misteriose circostanze, e con molti altri eventi misteriosi. 



L'atmosfera che avvolge questo incessante susseguirsi di avvenimenti è nebulosa e psichedelica, certamente debitrice di The Long GoodBye —non sarà un caso se la pellicola ha vinto l'Altman Award—, di cui Robert Elswit alla fotografia e Anderson alla regia hanno evocato l'immagine squisitamente ingenua e granulata —resa grazie al 35 mm—, e il sottofondo noir e surreale. Come nel film di Altman, il protagonista è un disadattato, eroe con tutte le caratteristiche dell'antieroe, che assiste alla collisione dei valori e delle culture che hanno delineato il passaggio dagli anni '60 agli anni '70 in America. La vicenda è ambientata nel 1970 a Gordita Bech, che fisicamente si trova a
Manhattan Beach  (Los Angeles), sebbene la funzione principale che svolge nell'economia del film sia quella di porsi quale sito spartiacque tra le battaglie, gli ideali e le grandi speranze del '68 e gli scompensi autoritari che vennero poi. Seguendo la vicenda attraverso gli occhi di Doc scopriamo assieme a lui che nulla è come sembra:  la politica è complottistica, i funzionari corrotti, gli ideali, ridicolizzati. 


Lo scenario che Anderson va dipingendo è, ancora una volta, tristissimo, perfetta fotografia di quello che per Pynchon sarebbe stato il mondo nuovo, mentre per noi è, ahimè, assodata realtà. Se con “The Master”, aveva dipinto l'alienazione post seconda guerra mondiale e la nascita di settereligiose, e con “There Will Be Blood” la nascita di una nazione, ora con Inherent Vice, abbiamo la consapevolezza che ogni ideale puro o romantico é svanito del tutto, e che questo film altro non è che un amaro ritratto di un piccolo mondo antico.
Erica Belluzzi 

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