Un piccione seduto su un ramo riflette
sull'esistenza
di Roy Andersson
con Nils Westblom, Holger Andersson
Norvegia, 2014
durata, 110'
Ci sono
pellicole, tanto colte quanto raffinate, di norma molto apprezzate negli
ambienti festivalieri, delle quali i pregi esaltati da un pubblico di
nicchia diventano paradossalmente difetti agli occhi di fruitori più
commerciali.
E'
questo il caso di "Un piccione seduto su un ramo riflette
sull'esistenza" - vincitore della settantunesima edizione del festival
di Venezia -, tragicommedia suddivisa in trentanove "quadri", che narra
di due venditori di maschere e denti da vampiro.
Andersson,
regista che dimostra di possedere un intelletto fine, miscela il solito
gusto nonsense scandinavo ad innovazioni linguistico/immaginifiche
permesse da un'abile e ragionata decodifica dello strumento digitale.
L'errare
quasi strascicato dei protagonisti - i quali potrebbero essere
benissimo personaggi creati dalla penna di Beckett - conduce a
soffermarsi, in maniera neppure troppo seria - e la poca seriosità è
stranamente l'elemento più inquietante -, sul martirio che l'uomo
infligge a sé stesso nell'invenzione e nella reiterazione del quotidiano
e, quindi, sull'impossibilita di trarne godimento.
"Un
piccione seduto su un ramo..." nasconde dietro vari elementi -
farsa/dramma; apatia/agonia; morte/marketing - la fine annunciata e/o
già avvenuta della nostra presunta contemporaneità. La stasi, dunque
attesa, diventa illusione del divenire, dunque ricerca - ricerca che,
quindi, è destinata a fallire -, andando a determinare la condizione
attuale-eterna-senza scampo dell'umanità:
En cherchant Godot.
Antonio Romagnoli
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