Selma
di Ava Duverany
con David Oyelowo, Tom Wilkinson, Cuba Gooding Jr.
Usa, 2014
genere, biografico
durata, 127'
Nell'epoca di Obama, presidente degli Stati Uniti d'America, il colore della pelle può diventare un business
molto remunerativo, sia in termine di soldi che di considerazione.
Evitando di ripetere in questa sede le implicazioni sociologiche e
politiche connesse con il desiderio di ricompattare un paese lacerato
dalla strage dell'11 settembre, rilanciando un sentimento di unità
nazionale capace di coinvolgere le cosiddette minoranze storiche,
è impossibile non rilevare come il vento del cambiamento abbia
influenzato la produzione cinematografica statunitense. E non è forse un
caso che a beneficiarne sia stata proprio la comunità afroamericana
promossa al ruolo di protagonista da una serie di film (da "12 anni
schiavo" a "The Butler") che ne rivisitano le tappe più importanti e
drammatiche della sua emancipazione. Va in questa direzione anche il
nuovo lavoro di Ava DuVerany, appena nominata agli Oscar per la regia di
"Selma", ricostruzione degli eventi che nel 1965 videro Martin Luther
King alla testa di una marcia organizzata per protestare contro la
violazione del diritto di voto dei cittadini di colore da parte del
governatore dello stato dell'Alabama George Wallace.
Perfettamente
in linea con quel tipo di cinebiografia che fa di tutto per rendere
commestibile (e quindi commerciale) l'eccezionalità dei suoi
protagonisti, "Selma" ha dalla sua il fatto di raccontare il passato
senza isolarlo dal tempo presente ma anzi di metterlo in comunicazione
con la nostra contemporaneità, identificabile negli scenari di
intolleranza e di disuguaglianza sociale come pure negli echi di una
guerra sporca e lontana (in Vietnam) che sembrano parenti stretti della
"crisi" che attraversa le nostre vite. Ecco che allora, pur nella
consapevolezza di un resoconto che mette in secondo piano le
contraddizioni dell'uomo (incostante sul piano dei rapporti coniugali)
per esaltare il carisma del "predicatore", non si può fare a meno di
partecipare alla vicende raccontate sullo schermo con una partecipazione
più coinvolta ed emozionata del solito. Se poi aggiungiamo che "Selma"
rompe anche un tabu cinematografico, facendo di Ava DuVerany la prima
regista afroamericana nominata agli Oscar allora il dado è tratto e il
film inevitabilmente promosso.
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