"Byzantium".
di: N.Jordan.
con: S.Ronan, G.Arterton, S.Riley, D.Mays, C.Landry Jones, J.Lee Miller.
- Irl, GB 2012 -
117'
"Io
ricordo tutto. Questo e' il mio fardello", commenta a voce bassa,
assorta, quasi tra se', Eleanor/Ronan di fronte al suo giovane
interlocutore, Frank/Landry Jones, che tenta di aprire timide brecce in
un riserbo che appare inscalfibile, protetto com'è da un segreto
secolare sconvolgente. E proprio il ricordo, malinconico, a volte
struggente, assieme ad una delle sue architravi maggiori - la nostalgia -
e in parallelo ai furori del desidero e alle incognite del tempo,
percorre, al modo delle pagine di diario redatte con febbrile mestizia
dalla stessa Eleanor, "Byzantium", ultimo lavoro di Neil Jordan - datato
2012 - dopo l'incursione nella tradizione gaelica di "Ondine" (2009).
Se,
come ha notato anche Houellebecq, "la nostalgia non e' un sentimento
estetico, e non e' neanche legata al ricordo di una felicita'. Si ha
nostalgia di un luogo per il semplice fatto di averci vissuto, poco
importa se bene o male", e' pensabile, una volta operata accorta torsione del
contesto - nel caso, fantastico-horrorifico, imperniato sulle vicende
di due donne vampiro, essendo l'altra Clara/Arterton - ipotizzare
un'ulteriore sfumatura drammatica di questo concetto legata al destino
privilegiato ma crudele dei cosiddetti non-morti, inchiodati qui
in una sorta d'infinita adolescenza e prima giovinezza, inerente lo
smacco di una nostalgia per terre mai viste, per esistenze alternative,
proprio per questo in teoria in grado di spezzare i vincoli di
un'eternità esuberante ma coatta: Bisanzio, appunto, ipotesi evocativa
quant'altre mai di un'idea di approdo ove consumarsi in via definitiva o
rinascere, provvisoriamente materializzata nelle architetture
fatiscenti di un omonimo Hotel affacciato su un mare più cupo del cielo
che lo sovrasta.
La
parabola viziosa di Eleanor e Clara, vincolata nel cerchio di istanti
che sembrano trascorrere ma in realtà si limitano ad allungare gli
estremi di una decrepitezza i cui tratti esteriori restano sempre e
comunque gentili e floridi, si nutre, per un verso, dei canoni e delle
convenzioni tipiche del genere che, come si sa, ha precedenti
letterari e cinematografici - addentellati inclusi - sterminati,
arricchita, qua e la', di un gusto ematico-sessuale diretto, pressoché innocente,
nella sua prorompente inesorabilità: ingordo e impetuoso quello di
Clara, al passo con l'uso di un corpo sodo e desiderabile, espediente
infallibile e fonte inesauribile di sostentamento; più tormentato, sul
cammino appena abbozzato di una impossibile sublimazione, come
punteggiato da alterni sensi di colpa o dubbiose ritrosie, quello di
Eleanor; per l'altro, si astiene, pressoché del tutto, da una
raffigurazione saccente o trionfante del personaggio-vampiro, optando
per un intimismo di fondo spossato, quasi sine nobilitate, in ogni caso privo di echi "dandy" o della tetra grandeur spesso
consustanziale a questo spicchio d'immaginario e da Jordan stesso
raccontata oltre vent'anni fa in "Intervista col vampiro". Clara ed
Eleanor - tanto la Arterton e' a suo agio nel disporre, grazie ad un
erotismo intraprendente, delle miserie umane, al punto da
eliminarle quando si frappongono sulla via dell'autoconservazione; tanto
la Ronan, occhicerulea, di continuo in bilico tra incredulità, flebile
fiducia e afflizione, tratteggia Eleanor come una creatura scissa tra un
metabolismo dannato che pretende l'appetito famelico del sangue e un
animo che invoca la quiete o, quantomeno, la condivisione di un destino
impietoso - attraversano insieme lo spazio e i giorni fissando dimora
dove capita (in genere fra i resti degradati di una modernità la cui desolazione e' pari solo alla sua presunta - in ogni caso, gelida - funzionalità),
litigando, nutrendosi, forzando la fatale indole entro i contorni di
una fragile stabilita', sfuggendo le insidie di persecuzioni arcane e
remote, divise tra determinazione a resistere e anelito ad una tregua,
mentre attorno a loro si svolge l'ennesima versione di un mondo
inospitale tante volte già incontrato, giunto oggi ad accomunare nell'eterno presente -
sebbene su piani diversi, eppure, paradossalmente, non così distanti -
vampiri e uomini, entrambi ormai, forse, del tutto impossibilitati a
fare tesoro delle parole già disincantate di Yeats: "Appena libero dalla
natura/mai più assumerò la mia forma corporea da una qualsiasi cosa
naturale/Ma piuttosto una forma come quella che gli orefici traggono
dall'oro.../A cantare ai signori e alle dame di Bisanzio/Di ciò che e'
passato, di ciò che sta passando o che verra'".
Tratto
da un testo teatrale, "A vampire story", di M.Buffini, "Byzantium" e'
stato presentato nel 2012 al Toronto Film Festival. Non e' mai arrivato
nelle sale italiane.
TFK
1 commento:
Grandi aspettative (Neil Jordan mi aveva regalato grandi cose, in passato) e parecchia delusione. Alcune cose anche carine, a partire dalla caratterizzazione dei vampiri, molte altre decisamente meno, comprese un po' di incongruenze sparse. E va bene risparmiare sugli effetti speciali, ma quelle cascate che si colorano di rosso non si possono guardare...
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