I fratelli Karamazov
di Petr Zelenka
con Ivan Trojan, Igor Chmela, Martin Mysicka, David Novotný, Radek Holub
Repubblica Ceca 2008
durata, 110'
Portare sullo schermo Dostoevskij si sa, è un’operazione tutt’altro che semplice; trasporlo con un’opera in costume, potrebbe risultare un suicidio artistico che, per fortuna, nessuno ha ancora compiuto.
Dopo l’appassionata ed elegante rivisitazione americana de “Le notti bianche” da parte di James Grey (il film è “Two Lovers”), il regista cecoslovacco Zelenka propone forse il testo più complesso dell’autore russo, ambientando una messa in scena teatrale all’interno di un complesso industriale. Si può ben capire dunque che la questione andrà ad intrecciarsi su vari livelli narrativi, che vengono sfumati tra loro con dovuta maestria. Zelenka sembra prediligere il teatro al cinema (e oltre all’impressione del film in sé, a far venire il sospetto è anche un piccolo indizio in uno dei personaggi, al quale viene impedito di prendere parte a delle riprese per continuare le prove dello spettacolo). Trattandosi quindi fondamentalmente di meta-teatro, viene naturale il paragone con gli ultimi lavori di Roman Polanski (“Carnage” e “Venere in pelliccia”), anche se obbiettivamente la grandezza di questi lavori appena citati non viene eguagliata, sia per qualche piccola distrazione ritmica, sia per la preponderanza che ha la messa in scena teatrale su quella cinematografica.
Ci si trova comunque davanti ad un film sorprendente, dove le interpretazioni rendono chiarissimi i personaggi (anche per chi non avesse mai letto “I fratelli Karamazov”), e dove l’intersecare recitazione d’alto livello con le vite comuni degli interpreti segna un solco profondo su una dicotomia che diventa postulato: l’apice dell’arte e la miseria dell’uomo, che opponendosi si fondono tra loro e creano, dalla disperazione, l’epico.
Alberto Romagnoli
(pubblicata su dreamingcinema.it)
di Petr Zelenka
con Ivan Trojan, Igor Chmela, Martin Mysicka, David Novotný, Radek Holub
Repubblica Ceca 2008
durata, 110'
Portare sullo schermo Dostoevskij si sa, è un’operazione tutt’altro che semplice; trasporlo con un’opera in costume, potrebbe risultare un suicidio artistico che, per fortuna, nessuno ha ancora compiuto.
Dopo l’appassionata ed elegante rivisitazione americana de “Le notti bianche” da parte di James Grey (il film è “Two Lovers”), il regista cecoslovacco Zelenka propone forse il testo più complesso dell’autore russo, ambientando una messa in scena teatrale all’interno di un complesso industriale. Si può ben capire dunque che la questione andrà ad intrecciarsi su vari livelli narrativi, che vengono sfumati tra loro con dovuta maestria. Zelenka sembra prediligere il teatro al cinema (e oltre all’impressione del film in sé, a far venire il sospetto è anche un piccolo indizio in uno dei personaggi, al quale viene impedito di prendere parte a delle riprese per continuare le prove dello spettacolo). Trattandosi quindi fondamentalmente di meta-teatro, viene naturale il paragone con gli ultimi lavori di Roman Polanski (“Carnage” e “Venere in pelliccia”), anche se obbiettivamente la grandezza di questi lavori appena citati non viene eguagliata, sia per qualche piccola distrazione ritmica, sia per la preponderanza che ha la messa in scena teatrale su quella cinematografica.
Ci si trova comunque davanti ad un film sorprendente, dove le interpretazioni rendono chiarissimi i personaggi (anche per chi non avesse mai letto “I fratelli Karamazov”), e dove l’intersecare recitazione d’alto livello con le vite comuni degli interpreti segna un solco profondo su una dicotomia che diventa postulato: l’apice dell’arte e la miseria dell’uomo, che opponendosi si fondono tra loro e creano, dalla disperazione, l’epico.
Alberto Romagnoli
(pubblicata su dreamingcinema.it)
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