The Divergent Series: Allegiant
di Robert Schwentke
con Shailene Woodley, Theo James, Zoe Kravitz, Jeff Daniels
USA, 2016
genere, fantascienza, avventura, sentimentale, azione,
drammatico
durata, 110'
Giovani dive crescono. Era successo a Jennifer Lawrence che
per il protrarsi dei tempi di lavorazione di Hunger Games si era vista
invecchiare sullo schermo, regalando al suo personaggio una maturità
extracopione, dipendente in parte dai cambiamenti fisiognomici tipici dell'età
post adolescenziale, in parte da un escalation professionale culminato con la
vincita dell'Oscar. Capita la stessa cosa a Shailene Woodley, protagonista di
lungo corso della saga dei divergenti che, arrivata al suo atto finale - suddiviso
come al solito in due parti - si avvale, più o meno consciamente, di un surplus
di credibilità a cui non deve essere estranea la raggiunta consapevolezza
dell'attrice. La quale, in assoluta sintonia con l'evoluzione psicologica della
sua eroina, appare meno acerba rispetto agli inizi - "Divergent",
2014 - occupando la storia con una sicurezza equivalente a quella necessaria
alla sua Beatrice Prior detta Tris per affrontare la complessa missione a cui è
stata chiamata. Dettaglio non da poco anche in considerazione di una distanza
tra realtà e finzione che hollywood si sforza di colmare fino al punto di
mettere in scena il privato dei suoi attori com'è successo con
"Boyhood", girato con l'intenzione di far coincidere la cronologia
narrativa relativa al personaggio a quella ordinaria e privata dell'interprete.
E che in un film come "The Divergent Series: Allegiant" acquista
maggior importanza non solo perché la visione del mondo distopico e post
apocalittico per quanto fantasiosa e visionaria racconta un'umanità immersa in
un crogiuolo di istinti e motivazioni profondamente radicati nella nostra
contemporaneità e quindi bisognosa di essere rappresentata da personaggi
concreti e riconoscibili.
La necessità di un centro motore inequivocabilmente
individuato nella figura di Beatrice Prior nella fattispecie è tanto più forte
quanto maggiore è il bisogno di stabilire una continuità tra gli episodi
precedenti, segregati all'interno delle mura cittadine utilizzate dai cattivi
per separare gli abitanti diChicago dal resto dell'ecumene, e quello attuale, a
dir poco rivoluzionario nell'economia della saga per il modo con cui Allegiant
mischia le carte in tavola mutando le forme del suo paesaggio. A cominciare dal
cambio di coordinate geografiche, giustificato dalla volontà di Beatrice e da
Tobias -controparte maschile di un'avventura prettamente femminile - di
scoprire cosa si cela oltre la prigione urbana in cui li aveva relegati la
perfida Jeanine, e, di conseguenza, dallo stacco estetico tra gli edifici
diroccati e fatiscenti della metropoli statunitense e le sinuosità futuristiche
e tecnologiche dell'organizzazione preposta a regolare l' ordine mondiale. Per
finire con la messa in disparte dell'universo relazionale suddiviso in fazioni
rivelatosi fittizio per essere il frutto di un esperimento genetico e
sorpassato dagli orizzonti narrativi originati dall'entrata in scena di David,
il capo del dipartimento di sanità genetica più che mai assetato di potere.
A rimanere uguale è invece il tema di fondo dell'intera
saga, rintracciabile in quel dualismo dello spirito americano che si rifà da un
lato a una certa rigidità protestante, tendenzialmente chiusa verso l'altro e
diffidente nei confronti della diversità antropologica e culturale. Particolare
questo da cui ha avuto origine per esempio il malcelato senso di superiorità
della nazione bianca americana. Dall'altro, per antitesi, un indomito spirito
di scoperta e volontà d'affermazione finalizzato tanto ad un ampliamento degli
spazi vitali quanto dalla volontà d' affrancamento dalle spinte più retrive di
quelle stesse origini. Caratteristiche che erano parte integrante di film come
"The Village" di M.Night Shyamalan e pure dei vari Hunger Games eMaze
Runner e che qui vediamo in azione sia nella decisione di Beatrice e di Tobias
di rinunciare al proprio habitat per esplorare nuove possibilità di vita, sia
in senso più velato ma non meno evidente, nella contrapposizione tra le
suddette fazioni che in un senso molto generale sembrano mimare l'antagonismo
che da sempre separa la strategia d'affermazione politica tra repubblicani e
democratici. Diversamente, dal punto di vista prettamente cinematografico il
film di Robert Schwentke si attesta sulla qualità media del genere di
riferimento contemplando un tipo di fantascienza allo stesso tempo ludica e
fanciullesca - sul modello di un blockbuster come Star Wars - e, seppure in
tono minore, stratificata e riflessiva per le allusioni e i rimandi alla nostra
contemporaneità. Ragionament che poco influiscono sul responso del botteghino
attento soprattutto alla spettacolarità dell'offerta e al gradimento del
pubblico più giovane ma almeno per noi sufficienti a giustificare la spesa del
biglietto e perché no la visione del capitolo finale in uscita il prossimo
anno.
pubblicato su ondacinema.it
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