Conoscere il proprio territorio d’origine ed ambientarvi una
storia, utilizzarlo come set per una produzione in cui investire tutto. Quanto
può influire l’amore per la propria terra in questo processo.
Ritornare nel proprio territorio, nel proprio paese, dopo
essere partiti ed aver avuto esperienze in diverse parti del globo, è
stimolante perché ti spinge, quasi inconsapevolmente, a vedere ciò che guardavi
prima in un’ottica meno critica ma molto più empatica. Nel momento della
partenza, quando le aspettative sono davvero alte per il proprio futuro, si
pensa molto più in grande, ma tornare dove si ha messo radici per potervi
ambientare un’opera è una possibilità da cogliere senza esitazioni.
Biagio Izzo, da maschera napoletana del comico a versatile
professionista.
Biagio è stata una scommessa, presa e vinta da entrambi,
proposta inizialmente dal casting director Stefano Rabbolini. Non appena mi è
stata avanzata questa proposta l’ho subito colta al volo perché credevo davvero
fosse una buona idea. Mi piace molto lavorare con gli attori, cambiare il loro
registro solito perché molto spesso si hanno delle belle sorprese, proprio come
nel caso di Izzo. In Italia c’è questa brutta tendenza ad etichettare e
ghettizzare un interprete (tu fai commedie, continua su quella strada; tu film
impegnati, non farai mai commedie) ed è una cosa assolutamente sbagliata perché
gli attori sono una materia straordinaria che va messa alla prova di volta in
volta, permettendo loro di restituire delle prove che spesso sono eccezionali,
oltre a costruire personaggi con sfumature inaspettate sia per gli
sceneggiatori che per i registi. Sono degli arricchimenti e delle piacevoli
scoperte anche per noi.
La scoperta di un piccolo talento: Maria Paola Rosini. Com’è
stato accettare questa sfida che in molti, probabilmente, avrebbero perso in
partenza non accettandola.
Come saltano i pesci può essere considerato un po’ il film
delle sfide, da come hai capito, ed anche questa come le precedenti è stata
vinta. Maria Paola era l’incognita del film ma allo stesso tempo tenevo molto a
questo personaggio poiché Giulia è anche una chiave di lettura della storia,
uno sguardo particolare che indirizza di volta in volta i personaggi sulla
retta via, specialmente quando sono preda dell’insicurezza, facendosi forza del
proprio sguardo puro e diretto sulla vita. Per il suo ruolo ci siamo rivolti
all’Anffas di Macerata e all’amico Marco Scarponi che ce l’ha segnalata dopo
diversi casting e non appena ce l’ha presentata siamo rimasti affascinati dalla
sua capacità recitativa. Una persona può sprizzare gioia e vivacità ma al
contempo restare inespressiva e non rendere sullo schermo, lei invece si
dimostra di fatto una bravissima interprete. Ti dimentichi completamente del
suo cromosoma in più durante la visione ed il suo, all’interno della storia e
dell’apparato filmico, è non solo una risorsa ma un arricchimento.
Il ruolo di linea comica delle due anziane, moire veglianti
sul destino del protagonista.
Ecco esatto, hai detto bene. Io le chiamo le Sibille, perché
esse sono parte della mia terra. Sono quelle figure che tramandavano la memoria
storica del popolo, delle fate buone che allo stesso tempo rappresentano lo
spirito della provincia intesa in senso ampio, rappresentante quindi tutte le
provincie. Sono quelle che ti osservano, ti studiano e ti giudicano ma che sono
anche capaci di aiutarti, accoglierti e accompagnarti nei momenti difficili, un
valore aggiunto di grande efficacia, dalla cui assenza, spesso, dipende la
solitudine.
Se ti dicessi “Chi nasce tondo…” tu come continueresti la
frase.
Non muore quadrato (ride, ndr). Sono contento che tu me lo
citi perché è un film che amo molto, che è stato anche molto apprezzato dal
pubblico. Tratta di base di un tema sociale, la ricerca dell’identità, ma
coinvolge anche figure come gli anziani, quella gran parte che si trova negli
ospizi, spesso visti solamente come giudici, ma che in realtà sono molto più
vitali e trasgressivi di noi.
Riuscire a girare in maniera indipendente è un’impresa.
Solitamente riesco a trovare lo stile connaturato ad ogni
prodotto che ho realizzato. Sono convinto che per girare un bel film ci
vogliano si i soldi necessari alla sua produzione ma soprattutto una storia,
degli attori validi, una grande partecipazione della troupe ed onestà nel
proprio mestiere. Se ci sono questi presupposti, usufruendo dei mezzi
necessari, che sono molti meno di quelli che uno immagina, il prodotto arriverà
al pubblico e questo risponderà positivamente.
In “Radio West” hai descritto il conflitto del Kosovo attraverso
gli occhi di Taricone, filtrandone i contenuti con la partecipazione dei
Bellocchio. Cosa ti hanno lasciato.
Pietro Taricone era al suo primo ruolo importante al cinema
e la parte era stata pensata e cucita su di lui. L’ottimo lavoro di interpretazione
da lui fatto in Radio West è affiancato dalla bravura di Kasia e Pier Giorgio
(Bellocchio, ndr). All’epoca erano tutti esordienti e ora come allora mi
ritrovo a pensare di amare il lavoro con i giovani talenti, perché sono loro
quelli che riescono a dare un volto più credibile alle storie. Il cinema
italiano gravita sempre attorno agli stessi attori, ai quali vengono affidate
le stesse parti e spesso diventano più personaggio pubblico che interprete.
Parlare e risolvere, a parole come con le immagini. Non è il
cinema, secondo te, luogo di eccellenza per affrontare problemi e aiutare a
risolverli, una sorta di psicologo per immagini.
Non sono totalmente d’accordo, nel senso che sicuramente i
film permettono una riflessione ma oltre a questa emozionano, affascinano.
Attraverso l’emotività che traspare da questi riescono a suscitare nello
spettatore delle sensazioni, dei pensieri, delle domande che in seguito
lavorano autonomamente. Non penso che il cinema debba psicanalizzare il
pubblico ma che, piuttosto, debba emozionare, dare spunti di riflessione,
divertire, commuovere perché attraverso le emozioni riescono a passare anche
pensieri e contenuti. Il cinema è una fruizione immediata, emotiva che però
sappiamo essere la forma di comunicazione più forte e profonda che possa
esistere. Le immagini, poi, lavorano nel subconscio che, rielaborandole,
permette ad esse di avere delle sfumature differenti per ognuno di noi.
Quanto hanno influito le collaborazioni con Lina Wertmuller,
Sergio Corbucci e i fratelli Taviani.
Fare l’aiuto regista mi ha insegnato il mestiere della
regia. Essere regista non è solamente una questione creativa ma ha anche un
aspetto più nascosto, artigianale e organizzativo, molto importante. Bisogna
saper curare ogni aspetto, organizzare un gruppo di lavoro in grado di
perseguire la tua visione. Occorre avere ben in mente l’orizzonte finale,
poiché si ha in mano la visione globale e completa del film mentre ogni membro
della troupe ne possiede una propria. Il regista deve saper intuire quanto sia
l’apporto che ognuno di essi possa dare alla pellicola. Aiuto regia e regia
sono due mestieri diversi, il primo più organizzativo del secondo. E’ stata
un’esperienza importante perché mi ha dato padronanza della tecnica e stile
organizzativo, in modo da permettermi di potermi meglio concentrare
sull’immagine e la direzione degli attori.
L’importanza della distribuzione scolastica dei film,
attualmente molto praticata.
Sicuramente è un valore aggiunto, un modo
differente per far arrivare un lavoro che ha qualche qualità. Un modo per avere
un confronto diretto con il pubblico che è importantissimo per un regista,
poiché ti dà la risposta vera sulla riuscita di un film. E’ chiaro che la
strategia distributiva è giocoforza e i film indipendenti vengono spesso
schiacciati da major che non lasciano loro spazio e quindi si rende necessaria
un'organizzazione differente. Il pubblico risponde perché c’è voglia di
scegliere e questo rinnovamento riguarda le novità, non sempre le solite
pellicole. La suddivisione indie/major è una divisione fittizia, spesso il
cinema indipendente si è voluto identificare forzosamente con l’autoriale,
dimenticando l’importanza dell’intrattenimento. Questo perché anche nei generi
più bistrattati come la commedia all’italiana sono comparsi, spesso, personaggi
tragici che altrove non avrebbero sfigurato.
Alessandro Sisti
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