Love
di Gaspar Noè
con Karl Glusman,
Klara Kristin, Aomi Muyock, Gaspar Noe, Benoît Debie
Usa 2015
genere, drammatico
durata, 130'
Se è vero che la noiosa reiterazione della quotidianità è a
tutti gli effetti un crimine-contro-sé-stessi allora è anche vero che l’amore,
almeno per come lo intendiamo noi occidentali, più che un sentimento rappresenta
una trappola esistenziale.
Non a caso
Gaspar Noé ne traccia un profilo sincero – quindi per forza di cose brutale – e
ne descrive gli inganni da cui ci lasciamo cullare grazie all’illusione
iniziale che, con l’avanzare del percorso sentimentale, diventa una splendida
prigione dorata. Ed è proprio per la sincerità – che a volte assume toni
auto-biografici – del regista argentino che il sesso in “Love” non solo è descritto come parte
centrale di questa lenta morte interiore che ci ostiniamo a chiamare relazione amorosa, ma si distacca
totalmente dalla propria componente pornografica proprio per l’empatia che il
fruitore – sempre ammesso che quest’ultimo sia generosamente sincero con sé
stesso – tende a provare.
Ecco che nello sviscerare l’argomento i continui salti
temporali – tecnica di cui Noé aveva già abusato nella propria filmografia – non
avvengono solo nel macro-montaggio e quindi nell’alternanza dei grandi blocchi
narrativi ma anche all’interno della stessa scena, con i pochi secondi di nero
che ne spezzano l’andamento – modalità, questa, già utilizzata in “Ritual”,
capitolo del film collettivo “7 days in Havana” –. Da notare inoltre come nelle
scene di sesso i corpi non solo sono utilizzati per la composizione geometrica
(spesso dai caratteri pittorici) dell’inquadratura ma vengono continuamente
messi a disposizione dell’evoluzione
psicologica dei personaggi.
Come nei precedenti titoli del regista argentino, dove i
protagonisti finiscono per forza di cose a vivere il Purgatorio terreno come
dannazione eterna, Murphy ed Electra rappresentano a più riprese il fallimento
di un’intera cultura che confluisce in una visione distorta del sentimento,
dove la possessività è figlia illegittima del maschilismo che solo a parole ci
siamo lasciati alle spalle urlando al finto progresso morale prima che tecnico;
senza renderci conto, ancora una volta, di essere alle prese con l’ennesimo
slancio verso il niente.
Antonio Romagnoli
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