In
una filmografia ormai corposa, composta da innumerevoli cambi di
registro, sembra che tutti i titoli dei registi del Minnesota possano
rientrare sotto a un comune denominatore che i più amano definire coeniano.
“Hail Caesar” dunque si colloca, per innumerevoli fattori, a conferma
delle questione di cui sopra. Se è vero che a servizio della regia viene
messa a disposizione una sceneggiatura non solo brillante ma ancor più
del solito stratificata e intrisa di sottotesti come fosse una sorta di matrioska, la messinscena viene in ogni caso dotata di una propria autonomia andando a ricreare un universo – quello glamour della
vecchia Hollywood – di per sé autosufficiente e dunque impermeabile al
mondo esterno. Tutto ciò avviene non solo grazie alla generosità degli
attori (la lista di celebrità dell’Hollywood contemporanea che compone
il cast vede comparire tra gli altri George Cloney, Scarlett Johansson,
Jonah Hill, Channing Tatum) che si prestano totalmente alla natura
scanzonata del racconto, ma anche per merito del reparto costumi – in
grado di creare un’iconografia rinnovata dalle ceneri di quello che i
Coen rappresentano come un bizzarro periodo morto – e ancora per il
lavoro fotografico che da un lato è partecipe nell’ironizzare su quel
modo di fare cinema edulcorando i fittizi spezzoni di pellicola
dell’epoca presenti nella narrazione e dall’altro tenendo insieme i
differenti toni che vanno alternandosi nelle variazioni dello script. Da non sottovalutare, in ultimo, la presenza del cerchio come figura ormai ricorrente nel cinema del regista-a-due-teste,
che in “Hail Caesar” vediamo riproposta nella figura reiterata
dell’orologio e nelle coreografie che vedono protagonisti Tatum e la
Johansson – oltre ad alcuni elementi scenografici come le finestre a
forma di oblò – e che nella precedente filmografia possiamo trovare ad
esempio in maniera esplicita come nucleo centrale di “Mr. Hula hoop” -
anche qui oltre all'oggetto centrale del narrato appare spesso
l'immagine dell'orologio - o più velatamente nella struttura
drammaturgica circolare del recente “Inside Llewin Davis”.
Antonio Romagnoli
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